Qualità dell’architettura e della città. Proposte e strumenti per il progetto

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di Maria Teresa Roli

Di Piano in Piano

La città, macchina complessa, è il terminale e il nodo di questioni in conflitto, che incidono spesso in maniera devastante sulla forma urbis, quindi sulla qualità della città stessa. Negli ultimi venti anni, sempre più, si è assistito al degrado della qualità di vita nei centri urbani, cresciuti secondo logiche di messa a reddito dei suoli, con compromissione del disegno urbano e deficit di servizi; suolo consumato in maniera incontrollata e senza pianificazione, centri urbani sfrangiati, che hanno invaso la campagna, sottraendo terreno all’agricoltura, compromettendo irrimediabilmente il paesaggio, patrimonio culturale e segno identitario della nazione.

Strumento principe, ormai disatteso è la pianificazione: in crisi, sia nei Piani sovraordinati, sempre più “blandi” e contrattabili, sia nei Piani regolatori comunali, caratterizzati dalla deroga, dalle varianti parziali ad hoc, spesso non coerenti con il disegno complessivo, dal ricorso a strumenti altri, dalla deregolazione, dal venir meno della certezza del diritto.

Dagli anni Ottanta, sono entrati in ombra e via via negletti i cardini dell’intervento civile nelle città e nel territorio: l’obbligo delle regole, la pianificazione, la programmazione, il controllo sul valore dei suoli, la partecipazione dei cittadini alle trasformazioni urbane. E ciò a fronte di un principio invasivo, anche se confliggente con i principi costituzionali: lo jus aedificandi, come facoltà essenziale del diritto di proprietà, confermato dalla cosiddetta perequazione.

L’incameramento della rendita, che premia il privato a fronte del pubblico non è l’unico, se pur il principale, fattore distorsivo, che inficia la forma della città e l’equilibrio tra bisogni espressi e servizi corrisposti; vi è altresì il ricorso ai grandi eventi, come risposta alla crisi, nella logica di competizione tra città. Competizione con evidenti contraddizioni; anche l’ambizione a essere smart city, città intelligente con la capacità di coniugare innovazione ambiente e qualità della vita, ha come contraltare sistemi di mobilità, incentrati tuttora sull’uso dell’auto, piuttosto che sul sistema di trasporto collettivo e modelli edilizi ben lontani dal principio di sostenibilità – vedasi i grattacieli.

La messa in crisi della pianificazione, prodotto da un nuovo liberismo, ha quindi portato a un deterioramento evidente della qualità della città, per quanto attiene ai valori di identità e di solidarietà.

 

La qualità dell’architettura

A fronte della debolezza della pianificazione e della forza dei meccanismi speculativi, avanza inderogabilmente una brutta architettura. Non tutta, non tutta nello stesso modo. Spesso per il prevalere della logica del costruttore su quella della libertà di progetto: per modelli edilizi importati e avulsi dal contesto; per tecniche costruttive arretrate e non coerenti con i parametri di un’edilizia sostenibile; per brani di architettura che, comunque, non si inseriscono nel contesto; per carenza culturale del progettista; per ambizioni della committenza e per le stesse modalità con cui avvengono i concorsi appalto da parte delle pubbliche amministrazioni. Ma certo in primis per la scelta urbanistica che determina e condiziona la qualità dell’abitare e della città pubblica.

Di deteriore qualità dell’architettura urbana molto si è parlato negli ultimi anni, facendo analisi, proponendo correttivi, avanzando disegni di legge. La richiesta corrente da parte degli ordini professionali è il ricorso al concorso pubblico aperto. Giusta modalità se è corretto il bando. L’esito infatti è in buona parte determinato dalle richieste della committenza proponente, e quindi dai requisiti cui deve rispondere l’opera. Nelle nostre città abbiamo esempi di esiti più che discutibili, a fronte di bandi concorsuali: uno per tutti è quello relativo alla piazza Valdo Fusi a Torino. E che dire del grattacielo Intesa San Paolo che, in sfregio allo skyline della città, in contrasto con il bando, che ne contingentava l’altezza, ha prodotto una variante di Piano ad hoc?

Nel congresso mondiale degli Architetti, promosso dall’UIA, tenuto a Torino dal 29 giugno al 3 luglio 2008, è stata evidenziata con forza la necessità di una disciplina organica, sul tema della qualità dell’architettura e dell’urbanistica. Leopoldo Freyrie, relatore generale del Congresso dichiarò:

 

“Il tema del congresso segnala la volontà di fare uscire l’architettura da una sorta di isolamento, nel quale progettare edifici e soluzioni magari bellissimi ma senza un reale confronto con la realtà circostante. Trasmettere valori significa per gli architetti mettersi in gioco e interagire con tutti gli attori protagonisti del processo di trasformazione del territorio: amministratori, imprenditori, forze sociali, associazioni, singoli cittadini. Da queste premesse nasce il concetto di democrazia urbana, uno dei temi chiave del Congresso. Significa trasparenza nelle comunicazioni e nelle decisioni, apertura al confronto per accogliere le istanze della società con l’obiettivo di proporre le trasformazioni capaci di affrontare e risolvere i grandi e urgenti temi che si pongono oggi all’umanità”.

 

Dal dibattito e dalla mozione finale ne è sortito l’invito al Governo a promuovere una legge quadro sulla qualità architettonica. Nell’ambito delle finalità generali da perseguire, si sono posti alle amministrazioni pubbliche i seguenti obiettivi:

 

“a) promuovere la qualità del progetto e dell’opera architettonica; b) promuovere lo strumento del concorso di architettura, nelle forme del concorso di idee e del concorso di progettazione per la progettazione degli interventi; c) favorire la partecipazione dei giovani progettisti ai concorsi di architettura; d) sostenere l’ideazione e la progettazione di opere di rilevante interesse architettonico; e) riconoscere il particolare valore artistico delle opere di architettura contemporanea; f) promuovere la continuità del processo progettuale; g) promuovere l’alta formazione e la ricerca; h) tutelare e valorizzare gli archivi di architettura contemporanea, costituendo appositi centri di documentazione”.

Sono compresi nell’ambito di applicazione della legge

 

“i progetti di trasformazione del territorio e, in particolare, opere nei diversi contesti di natura e urbani, gli interventi sul patrimonio edilizio esistente, la tutela e la valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali, la realizzazione e l’ammodernamento delle infrastrutture”.

 

È da rilevarsi come l’esigenza di una buona architettura sia considerata come inderogabile bisogno, per la qualità stessa del vivere, e su questa si muove una recente proposta di legge, di iniziativa popolare, promossa dal settimanale “Progetti e concorsi” del Sole 24 ore. Anche qui l’attenzione è rivolta al ruolo dell’architetto progettista, nei confronti della pubblica amministrazione; si avanzano richieste di modifiche al Codice degli appalti, al fine di

 

“promuovere un mercato vero, fatto di concorrenza e attenzione alla qualità del progetto […] innovare e innalzare la qualità delle realizzazioni, facendo largo ai giovani e piccoli studi”.

 

A nostro avviso, la centralità del dibattito sulla buona architettura deve vertere soprattutto sulla compatibilità dell’intervento con il contesto del costruito. Si ripropone quindi la centralità della pianificazione urbanistica e il rispetto dei principi di tutela, oggi troppo spesso considerati come lacciuoli di cui liberarsi anche nell’ambito dei centri storici, in cui ogni intrusione può essere elemento di frattura non più sanabile.

Oggi, a fronte dell’enorme dispendio di territorio agricolo, consumato in Italia per le nuove urbanizzazioni, in presenza del vasto fenomeno dello sprawl urbano, che ha devastato il paesaggio nella incontrollata crescita delle città, si impone la definizione di una “linea rossa”, oltre la quale non sia dato costruire. Pare avanzare una nuova sensibilità – fino a poco fa appannaggio solo delle associazioni ambientaliste – dovuta alla necessità di far salvo quello che resta di un patrimonio non più riproducibile. A ciò è improntato il nuovo Piano di Coordinamento Provinciale – il PTCP2 della provincia di Torino; strumento ancora debole per la prevalenza dei corridoi per le grandi infrastrutture e per il fatto che, nella proiezione decennale dei Piani Regolatori comunali e nelle larghe possibilità di operare varianti, rimane comunque un ampio margine di intervento, pesantemente invasivo. Resta la centralità del tema del costruire nel costruito e all’interno della auspicata linea rossa si gioca la problematica delle grandi trasformazioni e della ristrutturazione urbana. Questo campo di operatività richiede la mano pubblica, per un sicuro disegno urbano partecipato e, quindi, richiede programmazione e pianificazione. Altrimenti la città rischia di essere in vendita al miglior offerente e, in maniera surrettizia, comporta l’infiltrazione di modelli edilizi e di forma urbana, incompatibili con il genius loci.

Il progetto di rigenerazione di un quartiere non può prescindere – nella forma dell’abitare e nelle destinazioni d’uso da prevedere – dalla riscoperta del genius loci, inteso come lo studio dell’interazione tra l’ambiente, il luogo, le funzioni, l’identità del popolo, che storicamente vi ha abitato e dei cittadini, che vi abitano, tenendo presente l’insieme delle caratteristiche socio-culturali, architettoniche, di linguaggio, di abitudini che lo caratterizzano.

 

Torino esemplare

Esemplare è il caso Torino, che ha fatto scuola: un Piano Regolatore quasi ventennale, già a suo tempo in deroga alla Legge Urbanistica Regionale, è riuscito a modificare “sensibilità” istituzionali, esso stesso assolutamente flessibile alle opportunità del mercato (da cui le oltre 280 varianti). Sullo sfondo, una democrazia partecipativa sempre più obnubilata e cittadini che si risvegliano e si mobilitano troppo tardi, quando sul loro giardino arriva la ruspa.

Di Torino molto si dice, perché è la città italiana che più si è trasformata, dopo il crollo della sua identità di città dell’auto, per l’entrata in crisi dell’industria trainante e dell’indotto. Città su cui sono piovute le maggiori risorse economiche, statali e comunitarie; la città della Sindone, premiata dagli interventi economici per il Giubileo, la città delle Olimpiadi Invernali 2006, per cui lo Stato ha stanziato 1.091 miliardi. Alla rincorsa di grandi eventi per supportare la sua nuova effimera identità, è ora, per le stesse logiche perseguite, una delle città più indebitate d’Italia.

La Città si è andata riconnotando sulla base del Piano Regolatore Gregotti/Cagnardi, adottato nel 1995, plasmato sul precedente accordo di programma Comune, Regione, Ferrovie dello Stato, relativo all’abbassamento del piano del ferro che l’attraversava e che costituiva una malformazione. Occasione importante per un ridisegno equilibrato e per la ricucitura dell’ambiente urbano. Questa scelta ha avuto come contropartita la definizione, a priori, degli indici di edificabilità, volta a premiare le aree di risulta delle Ferrovie, con un indice di edificabilità territoriale altissimo, fissato in 0,7 mq/mq, che è stato poi esteso a tutte le aree di trasformazione della città, con la possibilità di incrementi ulteriori sulle cosiddette aree di atterraggio, sulle quali sono state concentrate le quantità edificabili provenienti dalle aree a parco, per definizione inedificabili, ma produttrici di incentivi edilizi (e quindi di risorse) a favore dei privati, contro la cessione delle stesse aree alla collettività (meccanismo, che a oggi non ha restituito nulla alla collettività stessa).

Un Piano Regolatore, le cui potenzialità edificatorie sono state incentivate con varianti ad hoc e a spot, rincorrendo le attenzioni e le intenzioni delle imprese e delle finanziarie, senza riguardo ad alcun disegno unitario e a un modello condiviso. Una città comunque da proporre con una politica di marketing urbano per valorizzare non solo gli ambiti di valore storico o ambientale, ma anche i settori recenti, segnati dagli interventi di archistar con opere spesso avulse dal contesto. Torino policentrica, politecnica, pirotecnica sono i caratteri, con i quali il Piano Strategico definiva stato e prospettive. Città dei grandi eventi a contrastare il declino industriale, che ha risvegliato attese e orgoglio di appartenenza, che ha restituito un centro più lucido, luogo della movida, ma in cui le periferie, dopo l’avvio della riqualificazione urbana della fine degli anni ’90, non hanno ricevuto opportunità di riscatto, ma sottrazione di suolo nelle operazioni di valorizzazione immobiliare.

Nella logica di sfruttamento delle aree liberate dal tracciato ferroviario, il piano regolatore ha messo in gioco l’enorme patrimonio di aree dismesse o liberabili dalle industrie (oltre 3 milioni di metri quadri già giocati, altri 5 milioni in gioco), favorendo la deindustrializzazione o la delocalizzazione, a fronte di previsioni edificatorie pesantissime, da cui avrebbero dovuto “scaturire” i servizi sociali. Si è assistito – con i cittadini esclusi da forme reali di partecipazione, in una scissione tra cultura e politica amministrativa – alla densificazione e manomissione della maglia urbana, alla proliferazione di edifici (mediamente brutti!), a uso abitativo, destinati a congestionare la città e spesso a creare “non luoghi”.

Grazie anche all’impulso dovuto alla vittoria nella candidatura olimpica del 2006, e all’attrazione di capitali finanziari, si è proceduto allo spianamento di enormi aree già industriali, con disattenzione alla forma originale di impianto urbanistico della città e con il sacrificio dell’edilizia storica che la connotava: la parte preponderante delle Officine Grandi Motori, la Fiat Ferriere, la Michelin, la Nebiolo, la Westinghouse … I sedimi della moderna città sono destinati a ipermercati, a sedi di terziario, e a case, tante case, piuttosto che a soddisfare i bisogni pregressi di servizi e a realizzare parcheggi di superficie, poco onerosi e decongestionanti. Alcune aggregazioni si chiamano Villaggio olimpico, Villaggio media, secondo standard tipologici, voluti dal Comitato Olimpico Internazionale, con pesanti oneri aggiuntivi per riconvertire quei complessi in alloggi normali, da immettere sul libero mercato, salvo una quota residuale di edilizia sovvenzionata e edilizia universitaria.

Il futuro è nella variante 200, dichiaratamente prevista per finanziare la linea 2 della metro – previsione aleatoria, mentre è certa la speculazione sulle aree da risanare e trasformare nella zona Vanchiglia/Spina 4, gestite dalla Società di Trasformazione Urbana, con la messa a disposizione di circa 450 mila mq di diritti edificatori in capo alla Città. Ma le previsioni di rendimento, stimate nello studio di fattibilità, redatto nel 2008 dalla Finpiemonte, risultano, a oggi, del tutto inattendibili. Estimi troppo ottimistici sin dall’inizio, messi ancor più in discussione dalle condizioni del mercato immobiliare, ora in sofferenza, segnato da un’offerta maggiore della domanda, non corrispondente alle richieste di abitazioni in base alla composizione sociale e ai bisogni conseguenti.

Il modello Torino è stato presentato come scuola per gli urbanisti europei, portati in visita alla Spina 3 e al nascente Parco Dora. Qui, dove una volta sorgevano gli stabilimenti delle Ferriere, Torino ha messo in vetrina la fitoremediation come sperimentazione per corrispondere a un disinquinamento del sito mai attuato. Ancora sopralluoghi esperti di architetti e urbanisti per corrispondere al bando di concorso, indetto per il masterplan della Variante 200. Bando tradito, prospettive che segnano il passo per la crisi economica in atto, da cui emergono tuttavia i rischi di avvio degli interventi più premianti per gli operatori, comunque nella logica di una incontrollabile e non preordinata edificazione, con movimentazione e trasferimenti del potenziale volumetrico costruibile – le condizioni per fare di Torino una città “verticale” – con torri e grattacieli a caso, posizionati sul territorio urbano, contro lo skyline delle montagne, di cui è capostipite l’immanente grattacielo di Intesa San Paolo. A rischio l’identità e la qualità della città stessa, ricca di valori di paesaggio: i lungo fiume, la collina, la corona della Alpi, la regolarità della maglia urbana originaria, i viali alberati, i parchi urbani, le eccellenze del barocco, il liberty, la fisionomia di alcune barriere operaie, le poche sopravvivenze di archeologia industriale.

Proposte e strumenti

Per guarire i mali della città e valorizzarne le potenzialità, nulla togliendo né all’identità urbana né alla modernizzazione, mirata a corrispondere ai nuovi bisogni, si considerano alcuni passaggi obbligati. Questi hanno la matrice in una logica redistributiva: del pubblico interesse, del pubblico servizio, a favore della tutela e valorizzazione dell’ambiente costruito e naturale e dell’economia, che da questo deriva.

Le associazioni ambientaliste, in occasione dell’ultimo ricambio amministrativo, hanno avanzato la richiesta di correttivi sostanziali, pur nella consapevolezza che – stante il quadro politico complessivo e le tendenze in atto – possa risultare velleitaria:

  • invertire i processi in corso di acquisizione privata delle rendite urbane; controllare la formazione delle rendite stesse, attraverso la pianificazione del territorio;
  • attivare una procedura innovativa, sull’esempio di altre città europee, per le trasformazioni urbane e le scelte infrastrutturali, avviando processi di consultazione, che offrano ai cittadini scelte alternative, sorrette dalla valutazione di costi e benefici, di effetti sociali e ricadute ambientali;
  • aprire un processo partecipativo, quartiere per quartiere, costruendo una nuova mappa dei bisogni e raccogliendo proposte e critiche dai cittadini, con seria valutazione del fabbisogno di servizi, articolato per zone territoriali e su scala cittadina, che tenga conto dei mutamenti demografici e occupazionali, valutando le nuove domande di servizi, verificando l’incidenza di ogni nuovo insediamento sul paesaggio, sull’ambiente urbano, e sul tessuto sociale;
  • sospendere le nuove Varianti urbanistiche, volte a far cassa, mercificando i vuoti urbani della città o le aree trasformabili; quindi attivare un’attenta valutazione dell’efficacia e validità delle Varianti finora adottate e in itinere, in un’analisi costi/benefici di carattere non contingente, nella logica della prevalenza dell’interesse pubblico e della città come bene comune;
  • garantire la trasparenza degli atti, il libero e facile accesso ai procedimenti, un’adeguata istruttoria decisionale in materia urbanistica, il bilancio partecipato, strumenti atti a contrastare la sopraffazione dell’interesse privato e a garanzia dell’interesse pubblico;
  • opporsi alla logica dei grandi eventi, come volano di crescita e di promozione della città;
  • costruire, in modo partecipato, un vasto programma pluriennale di manutenzione ordinaria del territorio, sostenendo l’uso corretto dello spazio pubblico;
  • costruire nel costruito, nel rispetto della forma urbana e dell’identità del luogo, opponendosi alla logica in base alla quale costruire in altezza (torri/grattacieli) restituisca alla città qualità e spazi liberi;
  • elaborare in maniera partecipata il Piano del Verde, che definisca priorità e strategie nella realizzazione dei parchi urbani, fluviali e collinari e delle aree verdi periurbane. Il verde come grande risorsa ambientale, ai fini del contenimento delle superfici impermeabilizzate, fondamentale per la salute dei cittadini e delle loro relazioni sociali;
  • ripensare le scelte per le infrastrutture della mobilità, configurate entro scenari strategici di grande incidenza;
  • agire sulle scelte trasportistiche, tramite i sistemi tariffari e l’incremento dei percorsi protetti per i mezzi pubblici. Strutturare un piano dei trasporti pubblici di valenza metropolitana, che disincentivi l’accesso delle auto nel centro urbano. Sostenere tutte le forme di “mobilità dolce” come car sharing, car pooling, bike sharing, pedibus, l’uso della bici per la mobilità quotidiana casa-scuola-lavoro. Favorire i parcheggi di interscambio, escludere ulteriori parcheggi in aree centrali – attrattori di traffico – e negare interventi di strutture interrate pubbliche o private/pertinenziali sotto le piazze storiche, i viali alberati, i giardini;
  • contingentare drasticamente i centri commerciali di grande distribuzione, che penalizzano gravemente il piccolo commercio, drammatizzano la mobilità, recano pregiudizio all’equilibrio nella distribuzione delle funzioni in ambito urbano e divorano il territorio;
  • controllare la dispersione degli insediamenti a scala regionale, che, incrementando l’uso del mezzo individuale, accentuano la congestione e l’inquinamento atmosferico;
  • sollecitare, guidare e coordinare interventi nel settore delle abitazioni a basso costo, coerenti con i fabbisogni emergenti, con interventi integrati per un mix sociale;
  • riprendere il progetto periferie, con attenzione e promozione dei valori identitari e ridistribuendo la quota servizi a questi spettante;
  • programmare e realizzare interventi, volti a ridistribuire le attività di livello elevato (il terziario più qualificato), fuori dalle tradizionali località del centro e dei suoi intorni immediati;
  • favorire e progettare interventi comunali di risanamento in ampi settori della città, fino al rinnovo urbano, nei luoghi di degrado o di inadeguatezza sia degli edifici, che delle condizioni ambientali, controllando la rendita;
  • garantire il contestuale potenziamento del corredo dei servizi collettivi, a partire dal sistema dei trasporti e delle comunicazioni, coinvolgendo soprattutto le periferie;
  • valorizzare il patrimonio storico, evitando dismissioni, intromissioni disomogenee e incentivandone la manutenzione. Qualificare la rete museale, attrattiva turistica di qualità;
  • sostenere il completamento della Raccolta Differenziata dei Rifiuti Urbani;
  • difendere il mantenimento delle aziende partecipate sotto l’esclusivo controllo pubblico, per l’importanza che beni primari come acqua, suolo pubblico, energia, trasporti e rifiuti rivestono ai fini ambientali;
  • inserire la città in una politica concertata di scala metropolitana, senza la schiacciante supremazia della metropoli con penalizzazione in termini di consumo di territorio dei comuni contermini; favorire accordi in ambito sovra comunale, volti alla difesa del suolo, in opposizione alla tendenza in atto di concorrenzialità tra municipalità.
  • prevedere nuove forme di fiscalità contro la crisi della finanza locale, scelte strategiche nei trasferimenti pubblici, senza svendere territorio e patrimonio pubblico per interventi di dubbia utilità e senza effettivi ritorni occupazionali. Le opere pubbliche siano finanziate dalla fiscalità e non dalla speculazione sulle aree.

 

In conclusione: un decalogo

  1. La città è un bene comune e come tale deve garantire gli interessi collettivi
  2. Moratoria generalizzata sulle nuove urbanizzazioni per rigenerare città e campagna.
  3. Ripristino della legalità: no ai condoni, no ai piani casa.
  4. No agli strumenti che vanificano la pianificazione (a partire dagli accordi di programma in deroga) ed esclusione dell’iniziativa privata come impulso alla pianificazione.
  5. Ripristino della destinazione originaria degli oneri di urbanizzazione.
  6. Rilancio della pianificazione paesaggistica: Stato e Regioni devono provvedere in tempi brevi alla formazione e alla rigorosa gestione dei piani a norma del Codice.
  7. Riaffermazione della tutela dell’identità culturale e dell’integrità fisica, quale cardine anche della pianificazione urbanistica ordinaria, secondo i migliori esempi del recente passato.
  8. Recupero delle immense periferie degradate, cresciute negli ultimi decenni, senza regole, né qualità urbana, anche con radicali operazioni di ristrutturazione urbanistica dell’edilizia abusiva e speculativa e con uso vincolante di tecniche antisismiche e di risparmio energetico, adeguatamente certificate.
  9. Mobilità sostenibile e integrata: incentivazione del trasporto pubblico e contenimento del trasporto privato.
  10. Ridefinizione delle regole per una effettiva trasparenza e partecipazione nel processo di formazione delle scelte.