Introduzione

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di Guido Montanari[1]

Questo numero di “Nuvole” raccoglie articoli di architetti, urbanisti, sociologi, politologi, economisti e responsabili di Associazioni ambientaliste che, dal novembre del 2008, nell’ambito dell’Associazione Culturale Franco Antonicelli di Torino, hanno dato vita a un’articolata attività di ricerca e di dibattito sui temi del governo della città e del territorio, con particolare riferimento alle trasformazioni urbane recenti. La loro attività si è sviluppata attraverso una discussione periodica sistematica, i cui esiti sono stati presentati nel corso di cinque cicli di conferenze e seminari, a scansione annuale, che hanno visto la partecipazione di un folto pubblico, presso la sede di via Cesare Battisti 4 B, a Torino.

La riflessione del gruppo è partita da un bilancio dell’urbanistica di Torino, dove le Amministrazioni Castellani e Chiamparino (1993-2011), e ora Fassino, hanno guidato il passaggio della città da “one company town” a “città degli eventi, della cultura e della ricerca”, con la modifica delle aree un tempo industriali in aree residenziali, terziarie e per servizi. L’approvazione del nuovo Piano Regolatore Generale (PRG) Gregotti-Cagnardi (1995) l’assegnazione delle Olimpiadi invernali (2006) e la realizzazione di grandi opere infrastrutturali (passante ferroviario, nuova linea metropolitana) hanno consentito un’ imponente trasformazione urbanistica (attuata per 6 milioni di metri quadri e prevista per altrettanti), condotta da una élite di governo – invariata da decenni – che non è stata in grado di avviare processi di partecipazione democratica e di integrazione sociale. Il risultato è stato la densificazione e la costruzione di nuove parti di città prevalentemente di bassa qualità architettonica e ambientale, carenti di servizi pubblici, indifferenti alle valenze storico-paesaggistiche e allo skyline consolidato, nonostante alcuni interventi di riqualificazione del centro e dei monumenti, con sviluppo di attività turistiche.

Nel complesso questa politica ha premiato i grandi proprietari delle aree e un ristretto numero di costruttori e progettisti, svendendo “diritti edificatori” e aree pubbliche al fine di incamerare risorse per il funzionamento della macchina comunale, strangolata da un pesante debito (attualmente stimato tra i 3,5 e i 5 miliardi di Euro, il più alto in Italia) alle cui origini ci sono senz’altro i tagli dei finanziamenti centrali e la difficile congiuntura economica, ma anche le spese olimpiche (per opere di scarsa ricaduta sociale e per ripianare i debiti del TOROC), la discutibile gestione della struttura comunale e investimenti arrischiati (per esempio, i cosiddetti titoli «derivati»).

La politica urbanistica di Torino non è peraltro isolata, è stata attuata sullo sfondo di radicali mutamenti economici, politici, culturali, che hanno caratterizzato, a livello nazionale e internazionale, i decenni tra vecchio e nuovo millennio. Elemento centrale è stato l’accettazione acritica della cultura neoliberista, acquisita anche dai partiti della sinistra europea e italiana, che si riverbera sulla città e sul territorio attraverso alcuni elementi di fondo:

1. L’appropriazione privata della rendita urbana, quale componente privilegiata per la trasformazione delle città e del territorio, anche in conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 1980, che ha sancito la mancata separazione della proprietà dei suoli dal diritto di edificare o di trasformare gli immobili, mettendo in discussione il primato dell’interesse pubblico rispetto ai diritti di proprietà.

2. La tendenziale concentrazione degli investimenti a vantaggio dei centri urbani, individuati come luoghi privilegiati (se non unici) per la localizzazione delle attività di comando e di scambio di rilievo nazionale e internazionale, con promozione del settore terziario (quale sostituto delle attività produttive, decentrate nei paesi con minor costo del lavoro e massimizzazione dei rendimenti da capitale).

3. L’insufficienza del governo del territorio a livello nazionale, regionale e provinciale, con conseguente impotenza nel pianificare lo sviluppo economico e la mobilità, mentre la contraddittoria rivalutazione delle risorse locali si trasforma in contrasto fra le varie comunità, accentuando l’opposizione a ogni tentativo generale di programmazione.

4. L’affermazione di una cultura del progetto urbano “per parti”, senza riguardo alle valenze storiche e sociali del contesto, nella convinzione dell’efficacia degli interventi imprenditoriali ritagliati sul breve periodo, dotati di concretezza e operatività, ma per loro natura prevalentemente indifferenti alla ricerca di qualità e di innovazione.

5. La sostanziale assenza di una gestione del territorio in funzione delle esigenze sociali, dell’accesso alla casa e ai servizi per le fasce deboli, della conservazione dei suoli liberi e agricoli, della tutela dell’ambiente e della conservazione e valorizzazione dei beni culturali architettonici e paesaggistici.

A partire da queste considerazioni di fondo, i saggi che seguono sviluppano percorsi di ricerca e di analisi diramati, che in parte rispecchiano gli interventi e i dibattiti delle serate pubbliche, in parte costituiscono spunti di lavoro e di riflessione autonomi.

Auspicio di questa raccolta è quello di stimolare un dibattito aperto sui temi del territorio, in grado di smascherare il “pensiero unico” dello sviluppo senza fine e del liberismo senza limiti, per cercare di trovare soluzioni ai problemi sempre più pressanti di preservazione e di riqualificazione di città, territorio e paesaggio, secondo criteri di sostenibilità sociale e ambientale, di ridistribuzione di ricchezza, di responsabilità nei confronti delle generazioni future.

 

[1] Coordinatore del gruppo “Città e Territorio” dell’Unione Culturale Franco Antonicelli di Torino.