Asterisco

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Giovanni Paolo II ha proclamato che la concupiscenza carnale non solo costituisce peccato anche se resta allo stato di puro desiderio (cosa affermata esplicitamente nei Vangeli e statuita già nel decalogo), ma si configura come adulterio anche se è rivolta alle venustà attraenti della propria legittima consorte.

Detta così, sembra una levata d’ingegno, perché, come già ha rilevato con beltempismo Vittorio Gorresio, proprio il remedium concupiscentiae è sempre stato riconosciuto dai più austeri teologi uno dei fini delle nozze benedette, né si vedrebbe d’altronde come i figli potrebbero venire al mondo fuori del collaudato metodo tradizionale, se non attraverso la fecondazione artificiale e la provetta surgelata, cioè con procedure sulle quali la Chiesa ha già espresso la sua condanna.

Se poi si aggiunge che l’impotentia coeundi costituisce causa di annullamento del matrimonio secondo il diritto canonico, se ne dovrebbe dedurre che nel matrimonio non si può stare né in piedi né seduti e si sarebbe raggiunta la forma più radicale del contenimento delle nascite: tutte nozze sterili, tutti figli peccaminosi e illegittimi.

Poiché queste sembrano freddure, il Papa avrà voluto dire, nel suo italiano gutturale e dirupato, che, anche nelle nozze, il coniuge non dev’essere visto come semplice oggetto di desiderio, bensì come persona amata, verso la quale l’attenzione dei sensi ha da esprimere solo una parte di un più generale trasporto affettivo e di un’identificazione che non può limitarsi a realizzare il duo in carne una nel senso fisico (cosa che anche il meretricio realizza con belle tecniche), ma nei sentimenti e pensieri e valori, in una unità in cui l’amplesso diventa un complemento importante ma non primario e tanto meno esclusivo.

 

(L. Firpo, Il Papa, i credenti, i cittadini, in “La Stampa”, 12 ottobre 1980, ora in Cattivi pensieri. Contro i luoghi comuni di destra e di sinistra, nella politica, nel costume, nella religione e nella cultura dell’Italia di oggi. Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1983, pp. 396-397)