Nessuno è straniero

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di Daniela Braidotti

Sono nata in Piemonte, da genitori friulani. Mia madre viveva in un paesino del Canavese. Ci raccontava che quando era piccola i ragazzetti della sua età la chiamavano “veneta”.

Ho cominciato a insegnare in una frazione del Canavese, dove ero io, che avevo imparato solo l’italiano, la maestra straniera, che non capiva la lingua e il dialetto dei piccoli.

Sono arrivata in Barriera alla fine degli anni ‘70. Colleghi di altre scuole, amici, parenti mi chiedevano:

Ma quanti piemontesi hai in classe?

Ora mi chiedono quanti stranieri hai in classe, quando la domanda vera sarebbe “Quanti italiani hai in classe?”

Da sempre la scuola Gabelli ha ospitato alunni che arrivavano da altri luoghi perché le loro famiglie avevano bisogno di un lavoro ed erano disposte a migrare. Ne sono testimonianza i vecchi registri dell’archivio storico, in cui le provenienze sono prima le zone del Piemonte, poi la Lombardia, il Veneto, l’Istria. E via via la Puglia, la Calabria, la Sicilia, la Campania. Ora tutto il mondo è presente nelle nostre aule.

Fino a una decina d’anni fa avevamo un’aula dedicata all’INTERCULTURA, per affrontare la prima alfabetizzazione. Avevamo insegnanti formati in glottologia che si occupavano di un  progetto specifico di alfabetizzazione, per qualche ora la settimana; abbiamo imbastito progetti di lingua in musica, con gruppi di pochi bambini, per affinare l’emissione di suoni, per trovare elementi di condivisione.

Ora non ha più senso la presenza di un’aula di intercultura, tutte le aule sono piccoli mondi. In molte situazioni di apprendimento è naturale chiedere ai bambini “come si dice nella tua lingua?” e confrontare suoni, strutture grammaticali, aspetti della comunicazione di molteplici lingue: arabo, anglo-nigeriano, lingue sudamericane, hindi, romeno, moldavo, cinese, albanese.

Attualmente gli studenti con cittadinanza non italiana iscritti alla nostra scuola sono il 73,85 % del totale degli alunni. Provengono dal Maghreb (Marocco, Egitto), dall’Europa Orientale (Romania, Albania, Moldavia), dal centro Africa (Nigeria e Senegal), dal Medio Oriente (Siria), dall’Asia (Cina, Pakistan), dall’America centro meridionale (Ecuador, Perù). I bambini che entrano nella nostra scuola sono generalmente bambini di seconda generazione, nati in Italia: hanno frequentato la scuola dell’infanzia e quindi posseggono una base di lingua per la comunicazione, per la crescita del pensiero; lo sviluppo degli aspetti della lingua connessi all’apprendimento delle discipline richiede però, da parte dei docenti, conoscenze specifiche sulle strategie di studio, consapevolezza e approcci didattici diversi, uso di strumenti e/o di tecniche di semplificazione/adattamento dei testi, attenzione ai diversi livelli di conoscenza linguistica dei singoli, sensibilità alle lingue altrui. I problemi da affrontare in una scuola in cui nessuno è straniero sono di tipo diverso e ciascuno richiede risorse e impegno. Ci sono infatti problemi di tipo linguistico e problemi di tipo culturale.

L’aspetto della ricezione e della produzione della lingua passa dall’alfabetizzazione dei bambini neo arrivati, generalmente definiti non parlanti perché non ancora in possesso della lingua italiana neanche per la comunicazione immediata (la sopravvivenza in una comunità, per intenderci), all’incremento del lessico passivo e attivo, allo sviluppo della lingua per le discipline. Negli anni ci siamo dotati, attraverso corsi di formazione specifici, di strumenti e strategie di lavoro per promuovere l’apprendimento linguistico: ricorriamo frequentemente a immagini, video e esperienze pratiche; utilizziamo il confronto con la lingua madre come elemento di mediazione e comparazione; poniamo attenzione alle parole e alle strutture sintattiche che usiamo nelle comunicazioni. Proponiamo approcci mediati e cooperativi per lo studio e la comprensione dei testi disciplinari, esperienze di apprendimento laboratoriale.

Da molto tempo collaboriamo con l’Università di Torino per progetti e interventi che hanno come obiettivo l’incremento linguistico attraverso attività al computer (Progetto Fenix), interventi diretti su gruppi di bambini non parlanti (Italiano L2 con studenti mediatori), percorsi speciali (Con Parole Mie, percorso di studio delle discipline con intervento di studenti mediatori presso le famiglie di alunni non italofoni). A volte questi progetti si ripetono, altre volte hanno una durata limitata nel tempo perché dipendono da finanziamenti ottenuti attraverso bandi.

La collaborazione con gli Enti territoriali e l’USR per l’ attenzione agli aspetti di integrazione degli studenti e delle famiglie è nata nei primi anni 2000, quando hanno cominciato ad arrivare in Barriera le prime famiglie di migranti non appartenenti alla Comunità Europea. Esperienze positive di integrazione nate nel nostro Circolo, ad esempio le prime “scuole delle mamme”, come le attività extrascolastiche per il mantenimento e la valorizzazione della lingua d’origine, da noi arabo e rumeno, si sono poi diffuse a livello cittadino e in altre scuole.

Il rapporto quotidiano con i bambini che apprendono in Italiano come lingua seconda ci ha insegnato a parlare più lentamente, a fermarci ogni tanto per chiedere se conoscono il significato delle parole, anche quelle più comuni, e soprattutto se comprendono il senso dei quindi, perciò, di conseguenza, inoltre… o dei modi di dire della nostra lingua, o se sono consapevoli che molte parole possono avere più significati (la copertina sarà una piccola coperta per dormire, come alla scuola dell’infanzia, o il rivestimento in plastica da mettere sul quaderno, o piuttosto quello illustrato del libro?). Ci fa riscoprire la bellezza e la complessità della nostra lingua.

Gli aspetti legati alla diversità di cultura degli altri Paesi, e di conseguenza delle famiglie, sono complessi e risolvibili soprattutto attraverso la conoscenza, la sensibilità, la riflessione su di sé e sugli altri. Se con i bambini di seconda generazione è possibile affrontare un dialogo, spesso non lo è con i genitori: a volte un solo genitore sa l’italiano abbastanza bene per poter dialogare con gli insegnanti, presentare il figlio, ascoltare quanto si dice nelle riunioni. È il genitore arrivato in Italia da più tempo, al quale poi il resto della famiglia si è ricongiunto successivamente. Spesso sono i padri a sapere l’italiano, ma i padri sono anche i più assenti. In alcuni casi, soprattutto durante la consegna delle valutazioni, possiamo ricorrere a mediatori linguistici che ci permettono di interloquire con le famiglie.

Il rapporto con la scuola è vissuto diversamente: ogni genitore, ma in questo non sono diversi gli italiani, pensa alla scuola come a una replica della propria esperienza di scolarità, se c’è stata. I sistemi scolastici, le discipline di studio, l’organizzazione, i sistemi di valutazione, però, sono tutti diversi tra di loro. A volte sono diversi anche i valori (competizione VS collaborazione) e le richieste (compiti a casa/no compiti a casa; scuola è scuola/casa è casa; disciplina/punizioni). Tenere a mente queste cose, apprese in formazioni mirate, serve a noi insegnanti per instaurare un dialogo, per chiarire innanzitutto che cosa vogliamo fare, che cosa possiamo fare, quale collaborazione possono darci come genitori. Impariamo molto anche da loro, cose che abbiamo dimenticato: che la scuola deve servire ai loro figli per farli vivere meglio di come vivono, che in famiglia prima di tutto c’è il rispetto verso le persone anziane, che la scuola deve dare strumenti per la piena cittadinanza.

A volte i genitori sono difficili da intercettare, o perché lavorano o perché hanno molti figli di età diversa da sistemare e che li accompagnano; compaiono poco alle assemblee, più spesso alle feste, sempre agli incontri individuali. Molti sono disponibili a farsi portavoce delle abitudini e delle tradizioni, della cucina, della loro lingua e così possiamo organizzare, ad esempio letture in lingue diverse in molti momenti dell’anno scolastico e nella Giornata della Lingua Madre.

Nel rapporto con le famiglie non siamo soli, anche se negli ultimi anni la diminuzione delle risorse economiche a disposizione delle scuole ha messo a dura prova la costruzione di rapporti continuativi con associazioni e enti che, sul territorio cittadino, si occupano a diverso titolo di integrazione.

Da molti anni, circa una decina ormai, abbiamo la consulenza dell’associazione  Mamre, che opera sul territorio e in città, composta di etnoantropologi, psicologi, mediatori culturali: oltre alla formazione sui “Bambini d’Altrove” (ripetuta ogni anno per i nuovi insegnanti del Circolo per spiegare quali sono i comportamenti culturalmente accettabili presso le diverse etnie, e come sono le strutture scolastiche che funzionano nei diversi Paesi), l’associazione offre una chiave agli insegnanti per comprendere ciò che c’è di culturale in certi atteggiamenti e comportamenti dei bambini (ai bambini nigeriani è richiesto dalla società di essere molto vivaci e iperattivi, ad esempio) o che cosa potrebbe essere spiegato diversamente.

Abbiamo rapporti con i Servizi Sociali, per segnalare i casi di grandi difficoltà economiche o abitative, che sono sempre più frequenti. E partecipiamo a bandi regionali, nazionali e internazionali che, a fronte di progetti e di impegno di docenti e di enti esterni, permettono di offrire alla popolazione scolastica attività sull’extrascuola e apprendimento dell’italiano L2 in orario scolastico. Da sempre abbiamo rapporti con la Circoscrizione, ci muoviamo in rete con le altre scuole per attività di formazione e di proposte agli studenti per la lettura, la musica, lo sport.

Negli ultimi anni, i tagli alla scuola in termini di soldi, di professionalità, di tempo scuola, hanno limitato molto l’impegno e le possibilità di intervenire in modo proficuo e continuo sugli studenti. Non abbiamo più un laboratorio permanente sull’apprendimento dell’italiano per i bimbi neo arrivati perché gli insegnanti che se occupavano con un distacco dalla classe coprono le ore curricolari; non arrivano più i fondi per il facile consumo  e per non gravare sulle famiglie in difficoltà gli insegnanti acquistano a proprie spese matite, colle, fogli, quaderni. Le proposte di laboratori (musica, arte, conoscenza del territorio, soggiorni previsti dall’offerta formativa del Comune di Torino) vanno deserte perché i costi, per quanto esigui, graverebbero sulle economie in difficoltà delle famiglie; le gite sono scelte guardando il costo complessivo; aguzziamo occhi e orecchie per cogliere le proposte di visite gratuite o scontate a musei e a eventi cittadini.

Insegnare nella mia scuola non è proprio una passeggiata. Ci vogliono dedizione, impegno, flessibilità, costanza, sensibilità, preparazione, formazione. Il tutto a fronte di esiti scolastici mai certi, spesso deludenti nel confronto con altre scuole più o meno simili alla nostra. Eppure siamo lì, ogni giorno, e chi si ferma come insegnante, dopo esserci arrivato per caso, è perché sceglie di farlo.