Il ritorno della Russia: ambizioni, modelli, criticità

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di Cristian Collina

 

Introduzione

 

Nel 2014 si celebra il venticinquesimo anniversario della caduta del muro di Berlino e il ventitreesimo anniversario dalla caduta dell’URSS. Dall’epoca dei fatti ad oggi lo scenario post-sovietico e post-Guerra Fredda è cambiato più volte: la Russia ha vissuto diverse fasi di crisi e crescita e l’egemonia occidentale a guida USA si è confrontata con una serie di nuove sfide, dall’11 settembre alla crisi economica avviatasi nel 2008. Se già negli ultimi anni questi anniversari si inserivano in un contesto in cui la Russia usciva dalla crisi post-sovietica per collocarsi tra le potenze emergenti, quest’anno essi si inseriscono nel contesto della complessa crisi ucraina e le annesse tensioni con Europa ed USA, culminate nell’introduzione di sanzioni economiche reciproche. Dopo più di due decenni dalla fine della Guerra Fredda e del comunismo il mondo occidentale si trova ad affrontare il tema del ritorno della Russia non solo in termini di crescita ma anche di competizione e confronto. In questo articolo si delineano i contorni e il significato di questo ritorno della Russia attraverso tre aspetti: le ambizioni del modello di sviluppo verticale, messo in piedi da Vladimir Putin per rilanciare il paese, le criticità interne che incamera e le dinamiche internazionali che esso apre.

Nel proporre questa riflessione sull’evoluzione della Russia a venticinque dalla caduta del Muro si seguirà il filo di una delle tesi più suggestive sul dopo-1989 ovvero la Fine della Storia di Francis Fukuyama.[1]

 

1. La fine dell’URSS e la fine della storia

 

Nel corso del novecento la Russia ha cambiato più sistemi politici che in tutta la sua storia: zarismo, socialismo, democrazia di mercato. E la rosa potrebbe essere più articolata qualora si tenessero in conto le riforme successive alla rivoluzione del 1905, nella tarda età zarista, tese a modificare la monarchia assoluta in una monarchia costituzionale, o le riforme del sistema sovietico finite nella breve esperienza di democrazia socialista della Perestroika. Questo susseguirsi di riforme e modelli politico-economici è stato la controprova di una visione della storia come competizione di modelli, idee e leadership politiche. La fine dell’URSS e del lungo esperimento socialista ha decretato la vittoria del modello occidentale liberale democratico e di mercato, al quale appunto si decideva a transitare anche la Russia e il mondo ex-comunista.[2] Secondo la suggestiva tesi di Fukuyama, dopo la sconfitta del socialismo l’affermazione globale di un unico modello politico-economico-culturale che meglio soddisfa la natura e le aspirazioni dell’uomo segnava la fine della storia. Benché le repliche alla tesi di Fukuyama non abbiano tardato a sollevarsi (a cominciare da Huntington che intravedeva invece la prospettiva di uno scontro di civilità) le speranze nella transizione post-sovietica al modello di democrazia liberale e di mercato non si sono mai sopite. Le Amministrazioni americane Democratiche e Repubblicane da Bush padre a Obama, passando per Clinton e Bush figlio, hanno confidato fortemente nelle possibilità di questa transizione come sbocco desiderabile e in qualche modo naturale. L’Europa ha coltivato la stessa speranza, confortata dal fatto che una parte del mondo ex-comunista di fatto ha completato un percorso di adesione ai modelli occidentali e di integrazione nella stessa Unione Europea.

A venticinque anni dalla caduta del Muro di Berlino, tuttavia l’esperienza della Russia post-sovietica racconta una storia diversa da quella di alcuni paesi ex-comunisti. Il crollo dell’URSS ha portato con se una serie di dinamiche politiche che hanno limitato sensibilmente le possibilità di successo della transizione ai modelli occidentali. Dalla transizione deragliata è emerso un modello politico economico che mette insieme elementi di mercato e di dirigismo da un lato e di democrazia e autoritarismo dall’altro.[3] È questa Russia dal complesso modello politico-economico che ora fa ritorno sulla scena internazionale sia in ragione della crescita economica degli ultimi quindici anni, sia in ragione di una ritrovata stabilita interna, sia infine in ragione di forti ambizioni internazionali. Alla fine dell’URSS, quindi, non ha corrisposto la fine della storia ma l’inizio di una nuova stagione politica e strategica per la Russia e per il mondo, in cui si iscrive anche la crisi ucraina del 2014 e le attuali tensioni tra Russia e Occidente.

 

2. Dalla transizione democratica al modello verticale e le sue ambizioni

 

Il nodo sul quale si è arenata la transizione democratica post-sovietica in Russia è stato il difficile rapporto tra costruzione dello stato e costruzione della democrazia. Gli anni delle grandi riforme di democrazia e di mercato sono stati anche gli anni di una profonda crisi dello stato inteso sia come struttura che come attore. Questa dinamica, sebbene in parte fisiologica,  ha finito per vulnerare la transizione interrompendone e modificandone sensibilmente il percorso. Nel sistema sovietico, lo stato era padrone dei mezzi di produzione, deteneva il monopolio culturale, controllava (almeno nelle intensioni) le regioni e le periferie attraverso il partito unico e i suoi organi. Il Presidente Eltsin e la sua elite, alla guida del processo di transizione, non potevano non tenere in conto questa realtà. Così, la transizione ha assunto sin da subito la forma di una liberazione dallo stato e di una espropriazione di risorse politiche ed economiche concentrate nelle mani dello stato e del governo centrale. Nel corso di circa un decennio, tra il 1987 e il 1998, la transizione russa si è articolata in una continua rivendicazione di autonomia decisionale, risorse economiche e potere politico da parte delle nascenti classi di potere, composte da ex-membri degli apparati di potere sovietici. Nella sfera economica, si tratta degli oligarchi, funzionari politici e maestranze di impresa arricchitisi con le riforme economiche e le grandi privatizzazioni. Nella sfera politica, invece, si tratta dei governatori regionali e delle figure di potere ad essi collegati che chiedevano sempre maggiori autonomie e fondi in cambio del sostegno politico-elettorale al Presidente. Nel giro di pochi anni la Russia raggiunge i minimi storici in termini di crescita economica e stabilità politica.[4]

La via di uscita da questa condizione viene trovata dallo stesso presidente Eltsin, affidandosi a una classe di funzionari e dirigenti delle strutture di sicurezza, ex-KGB, difesa, polizia, detti siloviki.[5] Al suo arrivo al potere, nel 1999, Putin incentra il suo intero progetto politico sulla ricostruzione della stato e il ripristino dell’autorità centrale rispetto al potere economico degli oligarchi e al potere politico dei governatori regionali. Sul piano internazionale, l’ambizione del nuovo Presidente è di restituire alla Russia uno status di potenza, proponendosi ai grandi paesi come attore unitario, stabile e credibile.

Nel perseguimento di questo obiettivo viene costruito il modello della verticale del potere che tiene insieme una riorganizzazione verticista e dirigista della politica e dell’economica con elementi di legittimità democratica e di libero mercato. Nella progetto di Putin, questa ricostruzione dello stato poteva convivere con le riforme di democrazia e mercato, in quanto la verticale, avrebbe lasciato pressoché intatto il campo dell’iniziativa privata, della rappresentanza politica e di tutte le garanzie costituzionali. A differenza degli anni precedenti, però, tutti i soggetti economici e politici, centrali e periferici, tornavano ad essere subordinati allo stato e al governo centrale e non alternativi ad essi. Tuttavia, Putin non voleva semplicemente rimediare al disordine generato dalle riforme radicali degli anni ’90 ma recuperare la tradizione storico-politico russa che vedeva nello stato un attore fondamentale per la difesa e lo sviluppo del paese. La verticale del potere è concepita, quindi, non come una soluzione tampone alle difficolta della transizione ma come una svolta verso un modello diverso da quello occidentale, seppure ispirato alla democrazia e al mercato.[6] Attraverso la verticale del potere, la ricostruzione dello stato è intervenuta su tutti i meccanismi che erodevano la capacità dello stato, ivi compresi quelli che derivavano dalla democratizzazione e dalla liberalizzazione economica. Illustriamo qui i tratti della verticale del potere e il suo impatto democratico attraverso le svolte in tre sfere di rapporti di potere: il rapporto stato-economia, il rapporto esecutivo-legislativo, il rapporto centro-regioni.[7] In tutte queste sfere, la leadership di Putin rafforza e rilancia le prerogative e il potere del centro politico e riporta in posizioni subordinate i possibili contendenti.

In primo luogo, viene riconsiderato sensibilmente il rapporto stato-mercato. Negli anni ’90, attraverso le liberalizzazioni e le privatizzazioni le imprese pubbliche erano state depredate dall’emergente classe industriale-imprenditoriale, guidata dagli oligarchi. Ora, questi ultimi vengono posti davanti alla prospettiva di abbandonare le velleità politiche e aderire al nuovo corso, reintegrando i propri debiti e agevolando la riacquisizione di quote proprietarie da parte dello stato nelle grandi compagnie energetiche. Si potenziano così le grandi corporation a partecipazione statale nei settori strategici, in primis quello energetico con compagnie di rilevanza interna ed estera come Gazprom e Rosneft. In coincidenza dell’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio, a partire dal 1999, l’ingente rendita economica andrà a rimpinguare le casse dello stato e delle compagnie che collaborano con il governo. Lo stato torna a guidare l’economia anche da un punto di vista normativo e politico attraverso riforme del sistema di tassazione e di verifica fiscale e attraverso investimenti pubblici ad ampio spettro, resi possibili dagli introiti energetici.

In secondo luogo, la politica di Putin rivede il rapporto tra parlamento, governo e Presidente. Il fulcro sul quale si interviene è quello dei partiti al fine di agevolare la costituzione della maggioranza parlamentare in grado di assicurare convergenza tra gli attori del potere politico. Anche in questo caso si procede alla revisione di quanto venutosi a creare negli anni delle riforme e in particolare la proliferazione di partiti con le più svariate caratteristiche, che divenivano terminali di processi clientelari, lobbistici o corruttivi. Da una parte si interviene con una legge sui partiti che omologa di fatto i partiti a un ideal-tipo nazionale e istituzionale, ostacolando la creazione di partiti identitari di classe, di territorio o di religione. Dall’altra si interviene sulla legge elettorale, introducendo il proporzionale puro con liste bloccate e alzando la soglia di sbarramento al 7%. L’intenzione di queste riforme è di creare un parlamento fatto di pochi grandi partiti nazionali che convergono su una piattaforma culturale e organizzativa. Nel 2003, nasce ER-Edinnaya Rossiya (Russia Unita) il partito filo-Putin che diventa il perno della maggioranza parlamentare fino ai nostri giorni. Questo riordinamento verticale tra esecutivo e legislativo è accompagnato da una serie di iniziative che disciplinano, e contengono, la partecipazione politica nelle forme non partitiche, ovvero la società civile e le ONG con la creazione della Camera Pubblica: un organo consultivo che rappresenta le principali ONG e associazioni.

In terzo luogo, il progetto politico di Putin interviene sul rapporto tra il governo centrale e i soggetti federali, innanzitutto le regioni. Putin eredita un quadro di relazioni centro-periferia fortemente destabilizzato che desta non poche preoccupazioni sul rischio di una nuova fase disgregativa. Inizia così un percorso di riforme volto a limitare il potere dei governatori e l’autonomia dei soggetti federali per ripristinare una catena di controllo dalle autorità centrali alle periferie. Vengono cancellati gli accordi di scambio politico siglati tra Eltsin e i governatori negli anni ‘90. Si aboliscono le leggi regionali in conflitto con quelle federali.  Gli statuti dei soggetti federali vengono conformati alla costituzione federale. Viene riformata la camera alta del parlamento, il Consiglio di Federazione, che sarà composta non più dai governatori regionali ma da rappresentanti delle assemblee regionali. Questo percorso di accentramento si conclude nel 2004 con l’abolizione delle elezioni dirette dei governatori, che azzera definitivamente l’autonomia politica dei leader regionali e delle loro elite.

Con questa ultima riforma la verticale del potere raggiunge la sua maturazione come modello centrato sul potere dello stato e sostanzialmente distante dal modello di democrazia liberale in cui si sperava all’indomani del crollo sovietico.

 

3. Consolidamento  e criticità del modello verticale

 

Il modello verticale nato per superare i limiti della transizione si consolida significativamente negli anni. Putin riscontra un forte consenso nell’opinione pubblica in ragione sia della crescita economica legata alla rendita energetica sia della ritrovata stabilità politica. Negli anni della doppia presidenza dal 2000 al 2008 l’approvazione per la presidenza di Putin supera in più occasioni il 60% e resta alta anche durante gli anni del tandem,  quando Dimitri Medvedev  occupa la presidenza e Putin la posizione di premier. Si rafforzano gli investimenti in vari settori strategici, dall’industria militare alle infrastrutture, e questo rafforza l’idea di una via russa alla modernizzazione. Abbandonate le riforme liberiste, la Russia opta per un nuovo capitalismo dirigista e intraprende un’intensa crescita economica che assume i contorni di un boom economico a lungo atteso. Il tasso di crescita medio degli ultimi 13 anni è intorno al 5% con punte del 9%. Accantonata la logica delle grandi privatizzazioni, lo stato è ora a capo di importanti campagne di investimento nei settori strategici, dall’energia all’industria militare, gestisce la rendita energetica attraverso la creazione di un fondo di sicurezza cui attingere nei casi di calo del prezzo di petrolio e favorisce l’iniziativa privata e straniera all’interno di regole più chiare del passato.  La performance positiva delle politiche della verticale fa in modo che il paese regga l’urto della crisi del 2008 e contribuisce alla continuità del modello. Lo stato, inoltre, conserva le funzioni di welfare e di aiuto alle famiglie, seppure cercando di evitare e rivedere le forme assistenziali. Inoltre, nel corso di circa un decennio e mezzo di crescita economica si assiste allo sviluppo di una classe medio-alta che va dagli industriali alla borghesia emergente.[8] Questo ha importanti risvolti in termini di consenso politico-elettorale in quanto i frutti della verticale sono raccolti non solo dall’elite politica, e le alte classi dirigenti, ma anche da una classe sociale più ampia. Intorno al Presidente Putin e il suo progetto politico si crea un’elite politico-economica molto vasta, che orbita attorno al partito pro-Kremlino ER, e una larga base di consenso elettorale e politico. Questo permetterà a Putin di vincere tutte le elezioni con ampie maggioranze e di pensare al tandem con Medvedev negli anni 2008-2012 prima di ricandidarsi una terza volta alla presidenza, nel 2012.[9]

Contemporaneamente al suo consolidamento il modello verticale comincia sin da subito a palesare non poche criticità che destano scetticismo se non preoccupazione sia tra gli osservatori internazionali sia tra i cittadini.[10] Parliamo di criticità per indicare dinamiche articolate in grado di incidere sulla legittimità, la coerenza e le prospettive della verticale del potere.

La prima di queste criticità è senz’altro la questione democratica che incide in particolare sulla legittimità del modello verticale. Sin dall’origine Putin parla del nuovo modello politico russo come solidamente fondato sulla democrazia, faticosamente conquistata dai russi. Nel corso degli anni Putin e i suoi sostenitori hanno definito il modello russo come un democrazia guidata, sovrana, o verticale, per sottolinearne la legittimità democratica. Tuttavia, una serie di caratteristiche riducono sensibilmente la componente democratica del modello verticale. Da un punto di vista elettorale, la rappresentanza democratica è stata condizionata dal drastico intervento per ridurre il numero dei partiti, dalle alte soglie di sbarramento, dall’introduzione di un sistema proporzionale a liste bloccate, dall’abolizione delle elezioni dei governatori regionali e infine dall’allungamento della durata in carica di parlamento e presidente. Inoltre, la democrazia è stata ridotta da una serie di limitazioni dirette e indirette sulle libertà di espressione e partecipazione. Significative restrizioni, infatti, hanno riguardato il mondo delle ONG, delle associazioni, della cultura e dei media indipendenti nel tentativo di creare una società civile dall’alto, attraverso la Camera Pubblica. Questa criticità fa in modo che il modello verticale venga fortemente criticato da una parte rilevante, sebbene non maggioritaria dell’opinione pubblica e delle opposizioni, e ha visto nel biennio 2011-2012 svolgersi grandi manifestazioni anti-Putin nelle principali città.

La seconda criticità, che incide per lo più sulla coerenza del modello, è data dal fatto che il modello verticale non risolve, ma per certi versi aggrava, la questione della diseguaglianza economica e politica. Da un alto, il modello genera una ineguaglianza sociale tra i ceti più legati alle filiere delle grandi corporation a guida pubblica o agli apparati dell’amministrazione pubblica e i ceti che lo sono di meno o non lo sono affatto. Da un altro lato, si registra una ineguaglianza tra le regioni più direttamente collegate all’industria estrattiva e all’export energetico e le regioni meno fortunate. Dal 2004, in ragione della nomina presidenziale dei governatori regionali, le regioni più povere di fatto non conducono nessuna battaglia o campagna verso il centro politico per richiedere investimenti e avvicinare gli standard di sviluppo delle regioni più ricche. Nata, quindi, per ridurre le asimmetrie politiche tra le regioni la verticale del potere lascia pressoché intatte quelle economiche.

Infine, la terza criticità, che incide di più sulle prospettive della verticale, è rappresentata dalla dipendenza industriale ed economica dal settore energetico e quello militare-industriale, i due settori strategici in grado di assicurare esportazioni e rendite su vasta sala. La verticale del potere ha avuto la capacità di risanare l’economia russa, trasformando la rendita energetica derivante dall’aumento del prezzo del petrolio in un’opportunità sistemica. Tuttavia, proprio per questo motivo il modello verticale ho contratto la diversificazione economica, ovvero lo sviluppo dell’industria leggera e a contenuto tecnologico per i consumi interni e l’export. Questi settori si sviluppano meglio in condizioni di mercato e libera iniziativa nonché con la partecipazione di capitale e know-how straniero. Sebbene una certa diversificazione dell’economia sia in corso, i suoi risultati sono ancora timidi e il sistema economico e finanziario resta fortemente dipendente dal prezzo del greggio. A ridosso della crisi del 2008, solo l’8% dell’export russo era rappresentato dalla manifattura e solo il 3% rientrava in una categoria di beni a media tecnologia.[11] Per quanto questa dipendenza dall’export energetico sia stata controllata e messa al riparo attraverso il fondo di sicurezza extra-budget e un’attenta politica di spesa, il contenimento della diversificazione dell’economia rappresenta una criticità notevole per le prospettive del modello verticale. Secondo i calcoli del governo russo, il continuo ribasso del prezzo del petrolio nel 2014 che si prevede scenderà al di sotto dei 60 dollari al barile, può minacciare seriamente le prospettive economiche del paese.[12]

A queste tre criticità se ne può aggiungere una ad esse trasversale, che influisce su legittimità, coerenza e prospettive del modello, rappresentata dalla corruzione.

Rispetto alle criticità qui descritte il modello verticale ha dimostrato finora una certa capacita di risposta elastica ovvero di adeguamento. Questi adeguamenti, seppure non hanno risolto le contraddizioni del modello, si sono resi necessari per assicurare una continuità nel tempo e per permettere l’accumulo di un importante consenso politico. Per quanto riguarda la questione democratica alcune riforme chiave della verticale sono state riviste in senso più democratico a seguito delle grandi manifestazioni degli anni 2011-2012. Sono state introdotte modifiche al sistema elettorale che tornerà ad essere in parte maggioritario, con una soglia di sbarramento al 5% e alla legge sui partiti per facilitare la partecipazione di partiti più piccoli alle elezioni. Sono state inoltre re-introdotte le elezioni dirette dei governatori regionali a partire dal 2012. Sebbene ci siano molte condizioni da rispettare per la candidatura di un governatore, e il Presidente mantenga poteri di controllo e revoca, la riforma ha interrotto la prassi della nomina presidenziale che aveva conferito un certo carattere autoritario al modello russo. Rispetto alle questioni di diseguaglianza economica, oltre a singoli interventi di sostegno ai ceti medi si è registrata una svolta significativa nell’approccio alla strategia di sviluppo regionale. Dal 2008 si è passati, infatti, da una strategia polarizzata che prediligeva gli interessi delle regioni più ricche come volano economico a una strategia equalizzata, volta a ridurre il gap di sviluppo tra regioni. Quanto alla terza criticità, relativa alla scarsa diversificazione economica, le partnership con i paesi occidentali sono state mirate allo scambio di know how e tecnologia ed è cresciuta la spesa in ricerca e sviluppo.

Nessuna delle iniziative sopra menzionate ha risolto le criticità del modello verticale ma le ha in parte tamponate. Più in generale, queste iniziative ci dicono che il modello verticale è più fluido e suscettibile di cambiamenti di quanto una certa letteratura centrata sul profilo KGB di Putin possa far immaginare. Il modello verticale creato da Putin ha ambiziosi obiettivi di sviluppo ma lascia un certo spazio di manovra metodologica e strategica, una volta fatto salvo il ruolo centrale dello stato e del governo rispetto ai centri di potere economico e politico che si erano affermati negli anni ‘90.  Un certo cambio di prassi e strategie è quindi possibile, restando comunque all’interno del modello verticale. Queste chances di cambiamento per fronteggiare le criticità del modello verticale sono aspetti salienti e non marginali nell’analisi delle le possibilità e modalità di convivenza tra Russia e Occidente. Tuttavia, al momento tra studiosi e osservatori il focus su questi aspetti è ancora poco sviluppato e spesso politicamente non condiviso a favore di una retorica della nuova guerra fredda, rinvigoritasi con la crisi ucraina del 2014.[13] Veniamo, così, ai risvolti internazionali del ritorno della Russia.

 

4. Il ritorno della Russia e il ritorno della storia

 

Quello che chiamiamo il ritorno della Russia è il mutamento tra la condizione del paese all’indomani della caduta del Muro e oggi. Negli anni ’90 il paese perde la co-leadership mondiale con gli USA e conserva il proprio status di potenza internazionale grazie all’arsenale nucleare ereditato dall’URSS, alla collocazione storico-geografica e all’industria aereo-spaziale. Per il resto il paese è vessato dalla crisi economica e industriale, che raggiunge l’apice nel tragico crack del 1998, ed è posto ai margini della scena internazionale come paese recipient dei prestiti e dei pacchetti di assistenza delle potenze occidentali e delle organizzazioni finanziarie internazionali. Questo scenario comincia a cambiare drasticamente grazie all’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio a partire dalla fine degli anni ’90. Il modello verticale di Putin trae un significativo vantaggio da questo aumento e lo canalizza per il rilancio del paese. Nel giro di pochi anni la Russia ha appianato la posizione debitoria verso i paesi Occidentali, si è affermata come principale fornitore energetico dei paesi europei (in media copre il 30%), ed è entrata a pieno titolo nel gruppo delle grandi potenze, ovvero il G7 che è diventato G8. Inoltre, la Russia si è inserita nel club delle potenze emergenti denominato BRIC (con Brasile, India e Cina) con un impressionante crescita del PIL (in media del 5%), del fondo di sicurezza economica (che nel 2008, anno della crisi, è pari il 17% del PIL), e della spesa strategica e militare (tra le prime 5 al mondo secondo le stime annuali del SIPRI). Tuttavia, il ritorno della Russia non è rappresentato solo dalla crescita economica ma anche dal riscoperto impegno per realizzare un mondo multipolare, stringendo alleanze sia a livello regionale che globale, e dalla netta critica all’unilateralismo USA (ad esempio in occasione della guerra all’Iraq nel 2003).[14] Nel 2015 prenderà il via l’unione economica euroasiatica con Bielorussia e Kazakhstan. Nel 2001 era già nato il Gruppo di Shangai, che raccoglie Russia Cina e altri paesi asiatici per la cooperazione economica e strategica. Oltre che con India e Cina, finora la Russia ha stretto importanti relazioni economiche e politiche anche con Iran, Siria, Venezuela e altri paesi non sempre graditi agli USA. La Russia ha inoltre espresso forti critiche su grandi questioni strategiche globali come la gestione USA della guerra al terrorismo, le politiche nucleari dell’Iran, la guerra civile in Siria.

Sebbene il successo della Russia nel perseguimento delle sue ambizioni sia tutto da verificare e il pesante ribasso del prezzo del petrolio nel 2014 rappresenti una dura prova per il paese, il suo ritorno nella scena internazionale è un dato di fatto. Quando, all’inizio del 2014, la Russia si accingeva a presiedere per la seconda volta il G8, la propria ambizione internazionale aveva acquisito importanti elementi politici. Al G20-2013 di San Pietroburgo Putin aveva criticato l’ordine mondiale centrato su una sola grande potenza, e la sua influenza sul FMI e le altre istituzioni finanziare, e aveva stoppato l’dea del Presidente Obama di una possibile guerra contro la Siria. La crisi ucraina del 2014, e il successivo allontanamento della Russia dal G8, hanno impedito che, per la prima volta, la presidenza di quel vertice fosse ispirata a una netta critica verso l’egemonia degli USA e il modello economico liberista entrato in crisi dal 2008.

Il ritorno della Russia non è, quindi, solo una questione di ripresa economica. Il messaggio che Putin e la sua elite inviano è che la Russia, con il suo il modello verticale che mescola elementi di dirigismo, autoritarismo, corporativismo a forme di legittimità democratica, non è una deviazione temporanea dalla transizione ai modelli occidentali ma un modello alternativo per coltivare ambizioni interne e internazionali.

In virtù del consolidarsi del modello di Putin e delle sue aspirazioni, parallelamente a quelle di altre potenze emergenti come la Cina, da qualche anno negli USA si è cominciato a parlare di ritorno della storia con riferimento alla tesi di Fukuyama. L’esposizione più ordinata di questa tesi è quella offerta da Kagan che vede proprio nella Russia di Putin e nella Cina, e nei loro modelli autocratici, la nuova sfida per gli USA ed Europa e i modelli democratico-liberali. La storia del mondo torna così ad essere alimentata dalla competizione tra modelli e l’Occidente deve rispondere a queste sfida, difendendo i valori di democrazia e libertà. Oggi questa tesi si inserisce nel più ampio dibattito in USA sul declino o il rilancio dell’egemonia americana.[15] In effetti il consolidamento del nuovo modello politico-economica della Russia e le sue ambizioni internazionali indicano che le speranze di convergenza su un comune modello democratico liberale tra Russia e Occidente sono state disattese in via definitiva. L’idea suggestiva della fine della storia non si è, quindi, realizzata. Tuttavia, gli allarmi per questo ritorno della Russia possono essere ridimensionati: la Russia di Putin non va sottovalutata ma neanche sopravvalutata. Con la sua economia dipendente dall’export energetico il paese è oggi seriamente minacciato dall’effetto combinato della caduta del prezzo del petrolio e delle sanzioni economiche di USA e UE dovute alla crisi ucraina. La Russia appare, quindi, impreparata a una vera contrapposizione con le potenze Occidentali e i suoi leader non ne hanno la reale intenzione. Il modello verticale, infatti, non coincide con una variante di autocrazia chiusa e statica. L’analisi delle criticità del modello e delle soluzioni tentate rivedendo alcuni aspetti chiave della verticale, come la restituzione delle elezioni dirette dei governatori regionali nel 2012 dopo la loro abolizione nel 2004, può suggerire un’interpretazione diversa e meno allarmista del ritorno della Russia. Il modello verticale è si competitivo a livello internazionale ma non è indipendente ne in grado di fronteggiare da solo i modelli occidentali. Pur nella sua ambizione di autonomia e sviluppo, la Russia ha bisogno di connessioni e partnership con il mondo occidentale. Questa condizione può dischiudere prospettive costruttive sia per la  Russia che per l’Occidente a condizione che le loro leadership vogliano vederle e sfruttarle.

Malgrado ciò la crisi ucraina ha accelerato una svolta nella percezione del ritorno della Russia in chiave allarmista all’interno dell’Amministrazione USA. Dal suo arrivo alla Casa Bianca ad oggi, il Presidente Obama ha rivisto sensibilmente la propria Russia policy: dal reset degli anni 2008-2012 con cui ci si proponeva appunto di resettare le divergenze tra gli USA e la Russia di Medvedev (delfino di Putin che in quegli anni lo sostituiva alla presidenza) alla progressiva critica avviatasi nel 2012 e poi culminata nella politica delle sanzioni applicate nel 2014. In questa ottica le sanzioni contro la Russia assumono un significato più che contingente. Non si tratta, infatti, solo di sanzionare la condotta ritenuta scorretta nei riguardi dell’Ucraina ma di arginare una rinascita della Russia autocratica sulla quale si riteneva di aver indugiato per troppi anni. Per quanto tempo prevarrà questo approccio alla Russia in USA ed Europa? Sara quest’ultima in grado di lavorare ad approcci e visioni alternative, a partire dalla complessità del modello politico russo e le sue criticità? Che effetti avranno le sanzioni e le bollature di autocrazia sull’evoluzione del modello verticale e la leadership di Putin? Nelle prestigiose pagine di Foreign Affairs John Mearsheimer, tra i principali teorici del realismo offensivo, ha criticato apertamente e senza mezzi termini la gestione della crisi ucraina da parte dell’Amministrazione USA e in generale l’approccio occidentale alla Russia di Putin, in quanto ne rafforza gli aspetti assertivi e conflittuali e disperde le possibilità di cooperazione.[16] Seppure l’articolo di Mearsheimer ha qualcosa di provocatorio, esso dimostra che il ritorno della Russia, e l’annesso ritorno della storia, non si prestano a una lettura scontata. Al contrario leader, studiosi e opinione pubblica sono posti davanti alla necessità di uno sforzo interpretativo e analitico più ampio.

 

Conclusioni

 

In questo articolo si è voluto mettere in evidenza il ritorno della Russia sulla scena internazionale e le criticità interne ed internazionali che esso comporta. La transizione ai modelli occidentali di democrazia e mercato, avviatasi dopo la fine della Guerra Fredda, si è arenata in una profonda crisi dello stato. Il modello politico messo in piedi da Putin è centrato sulla ricostruzione dello stato sia come struttura che come attore. Da qui deriva una complessa miscela di elementi democratici e dirigisti chiamata verticale del potere. Questo modello di sviluppo ha si rilanciato in poco tempo la condizione economica e politica del paese ma ha anche incamerato pesanti criticità, tra cui la dipendenza dal prezzo del petrolio, e una distanza dai modelli occidentali che incentiva la percezione della Russia come paese rivale, ostile e pericoloso. Questa situazione assume un particolare valore a 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino. Se quell’evento fu sugellato dalla tesi suggestiva della fine della storia, oggi il ritorno della Russia e il consolidamento del suo modello democratico-autoritario aprono nuove questioni. La lettura conflittuale e allarmista di questo ritorno della Russia, come ritorno della guerra fredda e delle autocrazie, può non essere l’unica possibile a condizione però che studiosi e attori politici non rinuncino a una riflessione critica e scrupolosa.

Certamente la storia che si dava per finita dopo la caduta del Muro di Berlino ha ripreso a muoversi in una direzione che per ora resta da scoprire. La competizione di modelli, infatti, porta con se la competizione di visioni (del mondo e del suo ordine) e di ambizioni (sul ruolo che si ritiene di avere a livello regionale e globale). Tuttavia, ad oggi Russia e Occidente possono ancora scegliere tra la via del dialogo o quella dello scontro. A venticinque anni dalla caduta del Muro di Berlino la soluzione per una pace globale sta un po’ meno nell’esportazione e diffusione dei modelli occidentali, attraverso le transizioni, e un po’ di più nella ricerca di una convivenza pacifica e costruttiva tra il modello occidentale di democrazia e mercato e altri modelli emergenti.

 

Note

 

[1] Fukuyama Francis, La fine della storia e l’ultimo uomo, BUR, Milano, 1991.

[2] Usiamo qui l’espressione esperimento usata da Rita di Leo nel suo L’esperimento Profano, Ediesse, Roma 2012.

[3] Una rassegna dei lavori sul deragliamento nella transizione democratica e liberale post-sovietica è in: Roberts C. e Sherlock T., “Bringing the Russian state back in: Explanations of the derailed transition to market democracy”, Comparative Politics, vol. 31, n.4, 1999.

[4] Alcuni testi che raccontano le difficoltà della transizione russa e la crisi dello stato negli anni ’90 sono: Reddaway Peter e Glinski Dmitri, The Tragedy of Russia’s Reforms: Market Bolshevism Against Democracy, United States Institute of Peace Press, Washington DC, 2001; Hale H. E., Taagepera R., “Russia: Consolidation or Collapse?” Europe-Asia Studies, vol. 54, n. 7, 2002.

[5] Il termine deriva dalla loro appartenenza alle silovye struktury, le strutture forti (anche strutture del potere), deputate alla sicurezza del paese.

[6] Il documento di riferimento sulla prima formulazione di un modello russo di democrazia e mercato basato sul ruolo importante dello stato da parte di Putin è il suo discorso alla Duma del 1999, pubblicato sui principali giornali: “Rossiya na rubezhe tysiacheletiy” (La Russia al volgere del millennio), Nezavisimaya Gazeta, 30 dicembre 1999.

[7] Ognuna di queste tre sfere può rappresentare un tema di indagine a se. Qui sintetizziamo brevemente gli aspetti salienti per rendere un’idea complessiva di come è stato eretto il modello verticale. Per analisi più dettagliate dell’evoluzione del sistema politico russo da Eltsin a Putin e l’impatto della verticale del potere sulla transizione post-sovietica facciamo qui rinvio a: Sakwa Richard, Putin. Russia’s Choice, Routledge, Londra, 2007; Herspring Dale R., Putin’s Russia: Past Imperfect, Future Uncertain, Rowman, Littlefield, Lanham MD, 2005; Stephen White, Understanding Russian Politics, Cambridge University Press, Cambridge e  New York, 2011.

[8]La crescita economica della Russia di Putin è messa in evidenza nella letteratura citata in nota 7. Sul nesso tra questa crescita e le esportazioni di risorse energetiche si veda tra gli altri: Rutland P. “Putin’s Economic Record: Is the Oil Boom Sustainable”,Europe-Asia Studies, vo. 60, n.6, 2008.

[9] Il tandem con il suo delfino Malvedev è un escamotage per assicurare continuità politica in una fase in cui Putin, in base alla Costituzione, non può candidarsi alla presidenza per la terza volta consecutiva. Va quindi ad occupare la posizione di premier, in attesa di ricandidarsi nel 2012. Nel mentre vengono varate due importanti riforme che estendono la durata della legislatura da 4 a 5 anni e quella della presidenza da 4 a 6 anni.

[10] Anche nel caso delle criticità del modello verticale procediamo per sintesi, rinviando ad alcuni lavori che mettono in evidenza i problemi politici, economici e sociali della Russia di Putin: Ostrow J. (a cura di), The Consolidation of Dictatorship in Russia: An Inside View of the Demise of Democracy, Praeger Westport CT, 2007, Rutland P. “Putin’s economic record….” op.cit., Pirani Simon, Change in Putin’s Russia: Power, Money and People, Pluto Press, Londra, 2010.

[11] Come riportato in Rutland P. “Putin’s economic record….” op.cit.

[12] A fissare il prezzo di 60 dollari al barile come quota critica in grado di porre l’economia russa in grave difficoltà è il Ministro delle Finanze russo. La previsione è condivisa da molti analisti economici come si legge sul sito di Bloomberg: “Russia Risks Recession as Oil Drop Seen Squeezing Budget”, Bloomberg, 15 settembre 2014, http://www.bloomberg.com/news/2014-09-25/russia-risks-recession-as-oil-drop-seen-squeezing-budget.html.

[13] Un testo, divenuto un classico, sulla Russia di Putin e la sua minaccia di una nuova guerra fredda è di Edward Lucas, The New Cold War. How The Kremlin Menaces Both Russia And The West, Bloomsburry, Londra, 2008.

[14] Per un’analisi della politica estera russa sotto Putin, volta a ripristinare lo status di potenza, si veda: Lo Bobo, Vladimir Putin and the evolution of Russian foreign policy, Chatham House, Oxford, 2003.

[15] Per la tesi di Kagan si vedano: Kagan Robert, The Return of History, Alfred A. Knopf, New York, 2008; Kagan. R., “The End of the End of History” The New Republic, 23 aprile 2008. Per il dibattito americano tra declinists e anti-declinists si vedano gli articoli di Ikenberry, Brzezhinsky, Kagan, Lieber e Keohane, sulla rivista Foreign Affairs negli ultimi anni. In questi articoli l’egemonia a guida USA viene descritta come in declino o quanto meno in difficoltà e le soluzioni proposte vanno dal rilancio del primato globale all’adattamento a un maggiore dialogo con le altre potenze occidentali e non.

[16] Si veda: Mearsheimer J.J., “Why the Ukraine crisis is the West’s fault: the liberal delusions that provoked Putin”, Foreign Affairs, vol. 93, n. 5.