In risposta all’articolo di Alfio Mastropaolo

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Caro Alfio,

nella sostanza sono d’accordo con le tue riflessioni tranne quella che riguarda il PD. Come tu dici l’incontro tra le due culture (e già mi sembra una notazione nobilitante) è fallito. Prediamone atto. L’elettorato di centro-sinistra ha quei connotati e quella formazione che indichi (riprendo dalla tua nota: “Nel Pd non c’è solo metà dei parlamentari, grazie a una legge elettorale sciagurata. C’è un terzo degli elettori. C’è il patrimonio elettorale della sinistra italiana. Ci sono gli elettori che il Pci si era conquistati, o i loro figli e nipoti. Ci sono i nipoti degli elettori di Nenni e di Lombardi, ma anche di Aldo Moro, Benigno Zaccagnini e via di seguito”). Un patrimonio elettorale che non vorresti disperdere, sono d’accordo, ma riflettiamo sul fatto che in valore assoluto il PD ha perso nell’ultima tornata elettorale 3 milioni di elettori, domandiamoci se non sia proprio la cattiva riuscita della “fusione” ad allontanare parte di quegli elettori. Inoltre non si può dimenticare che c’è anche un elettorato di sinistra esterno al PD; io non credo che ci sia un enorme popolo di sinistra in attesa dell’uomo che lo guidi, ma una quota di disillusi esiste, una quota dei quali non demorde e si affida a soluzioni politiche non adeguate.

Le due “culture” che convivono nel PD, pare di capire, non fanno altro che cercare di prendere posizioni e maggior potere all’interno del partito, mentre si impegnano meno a far crescere l’ascolto per il PD (l’errore della campagna elettorale non può essere attribuito solamente a Bersani, che ha le sue colpe; ma quale contributo ha dato il gruppo dirigente alla campagna elettorale? Forse era stremato dallo sforzo fatto per conquistare “posti” dentro il gruppo parlamentare che doveva venire, i franchi tiratori in parte nascono così). In questa situazione, non essendo pensabile una loro fusione efficace (perché dovrebbe riuscire oggi?), ma avendo ambedue le culture, secondo ottiche diverse, una aspirazione di trasformazione della società, la loro separazione non sarebbe tragica per l’insieme, data una loro possibile e necessaria collaborazione futura, ma potrebbe permettere a entrambe di dedicarsi sia all’elaborazione delle rispettive strategie e ai corrispondenti obiettivi, nonché a curare il loro rapporto con la società. Le convivenze infelici rendono sterili le due parti.

Se ciò avvenisse saremmo però solo all’inizio. La domanda è: come costruire (o ricostruire) una forza di sinistra?

Non credo alla possibilità di una fusione di sigle (Sinistra PD + SEL + Rifondazione + Comunisti italiani + ecc.); l’esperienza ci insegna che queste operazioni non funzionano, sia nel piccolo sia nel grande, ciascuna forza si sente in qualche modo fagocitata, assorbita, risucchiata, ecc., e si fa forte di un’identità di gruppo che non fa bene alla fusione e prelude a possibili scissioni. L’esigenza, tuttavia, è forte e sentita, dunque bisogna avere coraggio e rischiare.

Due principi dovrebbero caratterizzare questa possibilità coraggiosa: vanificare ogni appartenenza di gruppo esaltando la personalità di ciascun militante; evitare in modo assoluto di partire da un “gruppo dirigente”. Non è poco! E per fare questo ci vorrebbe molto coraggio e molta fiducia. Una soluzione potrebbe essere (ma se ne possono trovare altre) quella di dichiarare sciolte tutte le organizzazioni, ridando fiducia e capacità politica ai singoli; un gruppetto di persone potrebbe stendere un provvisorio “manifesto”, breve, semplice ma incisivo, invitare quanti ne condividano il contenuto a organizzarsi in “assemblee” (plurale) con almeno 50 e non più di 150 partecipanti, quando si superasse quel livello si inizierebbe a costruirne una nuova. L’insieme delle assemblee costituirebbe il nuovo soggetto politico. Il regime decisionale dentro la singola assemblea sarebbe appunto assembleare; non esisterebbe un’assemblea leader, ma tutte sarebbero allo stesso livello e ciascuna potrebbe proporre iniziative, prese di posizione, elaborazioni, ecc. Decisioni collegiali potrebbero essere prese in riunioni nazionali con rappresentanti delle singole assemblee (da due a tre).

Obiezioni? Infinite. A cominciare dal pericolo di perdere il patrimonio di cultura e di esperienze della sinistra a favore da un collage senza qualità. In realtà, a me pare, si rischierebbe di perdere (e sarebbe un bene) l’identità di gruppo, ma non la cultura dei singoli; certo le assemblee saranno composite, ma è proprio la discussione all’interno delle assemblee che trova la ricomposizione di un pensiero comune, la discussione assembleare costringe non solo ad affermare ma anche a riflettere. Inoltre il pericolo del collage senza qualità è comunque dietro l’angolo, ma non si scongiura né con l’aggancio a ideologie codificate, né con il richiamo al “mondo che cambia”, ma sottoponendo idee, formulazioni, riflessioni alla verifica collegiale, facendo magari convivere posizioni diverse. Certo nelle assemblee deve prevalere lo spirito di collaborazione e di apertura, senza che questo vincoli dal sostenere le proprie posizioni. La seconda osservazione riguarda la complessa macchina così come descritta. È complessa, ma esalta la “partecipazione” che è una questione oggi all’ordine del giorno. La terza, data la complessità organizzativa, riguarda l’impossibilità di raggiungere una decisione. La condivido, ma qual è l’alternativa? Mi pare che affidare alle stesse assemblee di decidere sui meccanismi decisionali e organizzativi possa risolvere il problema.

Cari saluti,

Francesco

indovina@iuav.it

felicitafutura.blogspot.it