Tristi elezioni per un paese triste

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Tristi elezioni per un paese triste

a cura della redazione di Nuvole

 

È un paese proprio triste l’Italia. Triste e tristo. È un paese in cui un partito razzista riesce a vincere perché il suo più prossimo alleato non gode più, per mille ragioni, della fiducia dei suoi elettori. Su tali ragioni ci sarebbe da interrogarsi. Gli elettori di destra prendono le distanze da Berlusconi perché ne ha fatte di tutti i colori – di peggio, sinceramente, non poteva fare – o perché Berlusconi non è abbastanza radicale? Perché magari vogliono un governo ancor più feroce con gli immigrati, ancor più avaro con il Mezzogiorno, con la scuola, con l’università, con la sanità pubblica? Vallo a capire.

Quel che è sicuro è che abbiamo visto altre volte paciosi padri di famigli, teneri con le loro spose e i loro marmocchi, trasformarsi in persecutori. Nulla è più rischioso della banalizzazione dell’odio. E nulla è più rischioso che rendere ovvii certi ragionamenti, e i discorsi che ne conseguono. L’antropologia nazionale sta cambiando: forse occorrerà cominciare a circolare con una stella gialla. Per ricordare ai teneri papà, alle soavi mammine e ai tanti affettuosissimi nonni che votano Lega che non si deve scherzare col fuoco. Che loro stessi potrebbero compiere gesti di cui al momento hanno orrore.

Per il resto, le elezioni sono andate com’era prevedibile. Il centrosinistra ha perso dove doveva perdere, il centrodestra ha vinto dove era scontato che vincesse e dove il centrosinistra l’ha messo in condizione di riuscirci. Che il Lazio fosse perso, dopo la disgustosa vicenda Marrazzo, era prevedibilissimo. Brava è stata la Bonino a limitare i danni. Anzi, ha dato un esempio che il centrosinistra dovrebbe decidersi a seguire. Lei, una personalità politica nazionale, nota internazionalmente, ci ha messo la faccia in una situazione pesantemente compromessa. Radicale, in terre che qualcuno suppone ancora sottomesse al Vaticano, ha pure dimostrato che la presunta influenza cattolica è circoscritta. Gli elettori hanno molti limiti, di competenza e soprattutto d’informazione. Ma ce ne sono ancora moltissimi ben più avveduti e maturi di quanto gli osservatori ritengano. I cattolici si dividono tra destra e sinistra e non sono gli interventi – seppur strumentali – della Chiesa a dettare le loro scelte.

In fondo Bonino ha perso di poco. Se il centrosinistra avesse avanzato una candidatura di pari rango in Campania e in Calabria, e magari in Veneto e in Lombardia, non è detto che avrebbe vinto, ma almeno se la sarebbe cavata con più dignità. Invece il gruppo dirigente del Pd non vuol mettersi in gioco. Non vuol correre rischi. Non vuol fare brutte figure. Ci ha provato una volta Finocchiaro in Sicilia, ma forse sarebbe stato meglio non l’avesse fatto. Perché appena sconfitta – clamorosamente – è corsa subito a reclamare un sostanzioso premio di consolazione.

Il candidato veneto era pessimo. Quello lombardo ancor peggio: difficile capire dove nei programmi stesse la differenza con Formigoni. Anzi. A Penati piacciono finanche le ronde, come presidente della provincia, a quanto pare, le ha pure finanziate. Caduti senza onore. Eppure i casi di Venezia (dov’è stato sconfitto Brunetta) e di Lecco (dove la brutta figura è toccata a Castelli) dimostrano che nel profondo nord la partita non è per niente perduta. Che bisogna anzitutto rincuorare le truppe disperse e magari non nascondersi dietro un Bortolussi qualunque.

Pensare che in certe regioni non vale la pena investirci sopra è un’idea disastrosa. Non solo in Lombardia ci sono posti – comuni e province – in cui il seguito elettorale della sinistra è perfino maggioritario, ma abbandonare la partita prima di cominciarla provoca effetti di scoramento. E una sconfitta netta fa più danno di una in cui ci si è battuti con onore. Il problema è che nessuno dei presuntuosissimi leader nazionali del Pd vuol mettersi in gioco. Preferisce aspettare che le elezioni siano andate male e tendere l’agguato al segretario di turno. Siamo in settimana pasquale e i tradimenti usano molto in questi giorni.

È andata male anche in Piemonte. La Bresso aveva vinto di un’incollatura cinque anni fa e ha perso di un’incollatura l’altro giorno. Non c’è da recriminare. C’è da chiedersi come mai dopo cinque anni di governo una quota piccola, ma cruciale, del suo elettorato l’abbia abbandonata. Intanto c’è da domandarsi come mai gli assessori più in vista della sua giunta siano stati ignominiosamente bocciati. In secondo luogo, è stupido prendersela con Grillo e la sua lista. La sua è una forma rozza di protesta, che non porta da nessuna parte, salvo che al dispetto. Ma non è antipolitica: è un grido di dolore che esprime una domanda di moralità e trasparenza che, evidentemente, la giunta Bresso (e altre giunte di centrosinistra) non sono riuscite a soddisfare. Tra le domande da porsi: non sarà stata anche un’imprudenza – e anzi una sfida  arrogante – organizzare una manifestazione Pro-Tav quando tra gli elettori del centrosinistra le perplessità sono diffusissime? Santo cielo, basta Berlusconi a far la parte di chi vuol governare senza intralci. Dai suoi concorrenti ci aspetteremmo un atteggiamento un po’ dialogico. Insomma: è sempre troppo comodo buttare la responsabilità sugli altri. Se un po’ di elettori di centrosinistra si astengono, o votano Grillo, non sono né imbecilli, né spregevoli. Magari sbagliano, ma hanno qualche motivo per sbagliare.

Per fortuna c’è Vendola. Che è stato bravo e ha colto un confortante successo. Il centrosinistra non lo voleva, lui è rimasto e ce l’ha fatta. Stiamo attenti però a non montarci la testa. Se era vergognoso l’atteggiamento dell’inesauribile D’Alema (ma quando va in pensione, questo qui? di danni non ne ha fatti a sufficienza?), che voleva farlo fuori, ed encomiabile è stata la resistenza di Vendola, c’è da riconoscere che una mano gliel’ha data l’Udc, sottraendo alla destra un bel pacchetto di voti. Comunque, Vendola ha dimostrato una cosa importantissima: che si può vincere, e governare, solo se si unisce tutta la sinistra, da quella pallida a quella accesa.

C’è riuscito anche Burlando, che invece ha imbarcato l’Udc con successo. Che l’Udc sia indispensabile è da dimostrare. Ancora non si è capito da che parte sta, né soprattutto dove si collocano i suoi elettori.  Poiché comunque per sconfiggere la destra serve uno schieramento il più ampio possibile, e che chi ne fa parte deve imparare a convivere, magari per evitare che il degrado civile e morale del paese precipiti nel razzismo (e in un disastroso declino economico e in mille altre brutte cose), Vendola e Burlando sono esempi da studiare.

In Campania e in Calabria invece non c’è stato niente da fare. Bassolino ha lasciato solo macerie. La colpa forse non è tutta sua. Ma non è riuscito a evitare che le montagne di spazzatura gli crollassero addosso. In più, al momento di scegliere un candidato, si è scelto quello che gli era più inviso. Non è mai una scelta saggia. Chi esce deve necessariamente sostenere chi potrebbe succedergli. Anche se la sua popolarità era crollata, Bassolino non bisognava averlo contro. Che è ciò che è capitato a De Luca. Se Bassolino lo si voleva sconfessare – e qualche motivo c’era – andava fatto subito, quando la questione rifiuti è stata fatta scoppiare. Adesso ci voleva una figura di altissimo profilo, non De Luca: i cui problemi giudiziari non sono verosimilmente tali da renderlo indegno, ma il cui profilo non era sufficiente.

La Calabria è compartecipe del terribile destino toccato al Mezzogiorno. Che è stato abbandonato a se stesso. La classe dirigente è quel che è. Le condizioni ambientali non l’aiutano a maturare. I giovani migliori se ne vanno. Da vent’anni il Mezzogiorno – con una terribile complicità bipartisan – non è più un tema politico nazionale. Non c’è niente da fare, si dice. Anzi, il Mezzogiorno va isolato, dice qualcuno, perché sta infettando l’intero paese. Non è vero. La verità è che nessuno aiuta più la parte migliore della società meridionale, la si mantiene con le elemosine, ma non c’è nessuno che l’inciti a crescere e espandersi. E ci si balocca ancora con l’idea che le classi dirigenti meridionali debbano imparare da sole a nuotare. Le si è buttate in acqua, la situazione è solo peggiorata. La verità è che il Sud paga il generalizzato declino – economico, civile, morale – del paese. È storia vecchia: il Sud progredisce quando progredisce il Nord. Quand’è in declino l’uno, è in declino anche l’altro. Chissà perché nel centrosinistra nessuno lo capisce. Si è imboccata una spirale perversa, che andrebbe a ogni costo interrotta. Il vecchio Pci, in questi casi, prendeva un prestigioso dirigente nazionale e lo mandava da quelle parti a rimettere per prima cosa in ordine il partito. A chi potrebbe chiederlo Bersani?

Il quale ha ragione quando dice che non è andata troppo male: meritava ben di peggio. Il suo partito non è un partito. È un’accozzaglia di figuri che si disputano – senza quartiere – modeste posizioni di potere e modesti incarichi onorifici, ma ben retribuiti. Nessuno che sia disposto a faticare.

Gli altri partiti del centrosinistra soffrono anche loro. Di Pietro perde slancio. Ha trovato in Grillo un concorrente temibile. E la sinistra hard è sfiancata dalle sue divisioni. Potrebbe forse trovare in Vendola un nuovo leader con qualche capacità di attrazione. A parte però gli sbagli che lui stesso ha commesso – non doveva andarsene da Rifondazione una volta perso il congresso – è ora di seppellire il passato. A sinistra c’è un baratro da riempire.

Gli astenuti sono tanti. Troppi. Sono probabilmente più numerosi a sinistra che a destra. Non senza ragione: da quelle parti l’offerta politica è più carente. Invece d’inseguire l’improbabile mito di un partito a vocazione maggioritaria – mito che ha consegnato il governo del paese a una maggioranza straripante – bisognerebbe ricominciare dalla ricomposizione dei cocci. Forse non è impossibile. Serve con urgenza un progetto: quel che dovrebbe esser chiaro è che tra la destra populista, che non promette lavoro, ma almeno sicurezza, e la sinistra postmaterialista, che neanch’essa si occupa troppo di lavoro, di pensioni, di povertà, ma vagheggia solo modernizzazioni improbabili e maschera la sua pochezza sventolando disavventure giudiziarie e prepotenze di Berlusconi, la prima ha una maggior capacità di attrazione: mobilita il popolo di destra, mentre segmenti decisivi del popolo di sinistra preferiscono astenersi. Né sembra una gran trovata quella di un Pd federale, che anziché farsi portavoce di chi non ha più voce – operai, giovani, Mezzogiorno, mondo della scuola e dell’università, pubblici dipendenti, ecc. – pretenda di disputare alla Lega il suo elettorato.

È un paradosso, ma nel commento dei risultati è Bossi che ha rivendicato con forza il voto operaio. Non c’è nulla di vero, o è vero solo in minima parte. A votare per la destra e per la Lega sono unicamente gli operai che da sempre votano a destra: non sono pochi. In realtà, gli operai che votavano a sinistra si sono spostati solo marginalmente e la Lega ha beneficiato soprattutto della radicalizzazione del voto moderato. Ma intanto Bossi parla di operai e il centrosinistra sembra averli dimenticati: solo in extremis Bersani ha fatto un giro a Mirafiori.

Il popolo di centrosinistra, è bene saperlo, è anche più esigente in materia di moralità pubblica. Non si rassegna all’idea che chi lo rappresenta non è diverso dai rappresentanti della destra, o che non lo è a sufficienza. La destra è peggio, ma le vicende Marrazzo e Del Bono, e quella piemontese del Premio Grinzane-Cavour e mille altri episodi ancora, l’hanno disgustato. Così com’è stufo dello spettacolo delle lotte intestine tra bande e dignitari. Anche per questo molti non vanno a votare, o votano Grillo. Chi si oppone alla sfrenata deriva neoliberalista e razzista della società italiana è sfinito da vent’anni di tentativi che hanno impinguato gli accantonamenti pensionistici del ceto politico cosiddetto di centrosinistra, ma non hanno risolto uno solo dei suoi problemi: se possibile li hanno aggravati. E di parecchio. Già: chi avrebbe mai pensato vent’anni or sono che il Vaticano sarebbe riuscito a vendicare finanche la breccia di Porta Pia?