Le cornici dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori

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di Andrea Cascioli

 

1. Incorniciare il problema: che cos’è un frame

Secondo un vecchio adagio della teoria delle comunicazioni di massa, il potere dei media non risiederebbe tanto nel dirci che cosa pensare, quanto piuttosto a cosa pensare e soprattutto in che termini pensare a un dato tema o a una determinata situazione. È forse questa l’essenza del concetto di frame, un oggetto di studio che nell’arco dell’ultimo trentennio è stato indagato in una pluralità di campi, comprendenti fra l’altro la linguistica cognitiva, la psicologia della decisione, la microsociologia, la sociologia dei movimenti, la comunicazione politica. Variegate sono le definizioni accordate al termine frame: si parla infatti di “principi di organizzazione che governano gli eventi – almeno quelli sociali – e il nostro coinvolgimento soggettivo in essi” [Goffman], così come di “principi di selezione, enfasi e presentazione formati da piccole tacite teorie riguardo a ciò che esiste, ciò che accade, e ciò che conta” [Gitlin]. Se il frame suggerisce “riguardo a cosa” si sta svolgendo una controversia, ovvero “l’essenza della questione” [Gamson e Modigliani], la costruzione del framing di una notizia o di un fenomeno sociale “si riferisce alle sottili alterazioni nell’affermazione o nella presentazione di problemi di giudizio e di scelta” [Iyengar]. Attorno all’assunto fondamentale, che cioè l’attribuzione di una “cornice di senso” a un messaggio in un contesto sociale sia suscettibile di influenzarne la percezione comune, coesistono dunque molteplici definizioni che riflettono la varietà stessa dei possibili significati del sostantivo inglese (cornice, struttura, ossatura, fotogramma…) [Barisione].

2. I frames dell’articolo 18: una questione di diritti, un freno allo sviluppo o una contesa inutile?

È stato osservato a ragione come il dibattito sulle eventuali revisioni in senso restrittivo o estensivo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, pur legato a una società ancora fondata su un sistema di produzione fordista in buona misura superato, è diventato dai primi anni Duemila il fulcro di “una delle più tormentate battaglie politico-sindacali della storia italiana recente” [Baccaro e Simoni].

Oggetto nel giro di tre anni di due referendum abrogativi di segno opposto (uno, nel 2000, volto ad abolirlo; l’altro, nel 2003, a estenderlo), prima della recente riemersione nell’agenda politica l’articolo 18 era già finito al centro di un aspro conflitto tra l’allora governo di centrodestra e il fronte sindacale, iniziato all’indomani delle elezioni del 2001 e culminato nel marzo 2002 nella grande manifestazione indetta dalla CGIL di Cofferati – celebrata in un clima drammatico a quattro giorni dall’uccisione del giuslavorista Biagi da parte di un gruppo di neobrigatisti.

È in quegli anni che la “questione articolo 18” assurge, per i sostenitori di una sua cancellazione o modifica profonda, a emblema della rigidità della legislazione italiana e dell’eccessiva protezione del lavoro dipendente; mentre i suoi difensori continuano a vedervi l’architrave di tutto il sistema delle garanzie lavorative, impossibile da rivedere in senso limitativo senza che ciò segni un arretramento generale nel campo dei diritti sociali.

Seguendo l’impostazione dei due classici studi di Gamson e Modigliani sulla rappresentazione simbolica dei temi dell’affirmative action e dell’energia nucleare negli Stati Uniti, il presente scritto opera una rilevazione della rappresentazione mediatica del conflitto sull’articolo 18 suddivisa in tre periodi: (1) approvazione del disegno di riforma del governo, omicidio Biagi e manifestazione CGIL: 16-30 marzo 2002; (2) votazioni del referendum abrogativo per l’estensione dell’articolo 18: 8-22 giugno 2003; (3) conclusione delle trattative con le parti sociali e approvazione in Consiglio dei ministri della riforma del lavoro varata dal governo Monti: 16-30 marzo 2012.

L’analisi è stata svolta su cinque dei sei maggiori quotidiani nazionali di informazione (Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Sole 24 Ore), selezionati in base a un criterio misto di distribuzione ed equa rappresentazione complessiva dello spettro politico.

Per ciascun periodo sono stati selezionati tutti gli articoli in cui il tema “articolo 18” è richiamato esplicitamente o implicitamente (per esempio all’interno di una più ampia riflessione sullo Statuto dei Lavoratori o sulle rigidità dell’occupazione) in posizione significativa. In questo campione sono stati individuati, nei virgolettati (dichiarazioni di esponenti politici, sindacali, industriali eccetera) e nella prosa giornalistica, gli elementi che possono ricondurre a una specifica interpretazione delle cause e delle soluzioni del problema in accordo con uno specifico frame package (ossia “un insieme di dispositivi logici organizzati che fungono da kit identificativo di un frame” [Van Gorp]). Per valutare al meglio gli aspetti di complessità del framing si è deciso di rilevare per ciascuno dei tre periodi in esame il numero di citazioni dei vari frames individuati durante la lettura su ognuno dei giornali presi in considerazione – tenendo presente che spesso nel corpo dello stesso articolo era possibile rintracciare più di un frame, sotto forma di presentazione di due punti di vista contrapposti o di richiamo polemico a un frame diverso. Allo scopo di ponderare il “peso” relativo dei richiami si è quindi introdotta l’ulteriore differenziazione tra frame “primario” (o “prevalente”) e frame “secondario” (o “incidentale”).

Dalla lettura degli articoli sono emersi tre frame packages e quattro differenti frames a essi collegati:

1) il frame package denominato “tutela dei diritti dei lavoratori” con il relativo frame;

2) il frame package denominato “flessibilità del mercato” con i frames “flessibilità per la maggiore occupazione” e “flessibilità per l’inclusione degli esclusi” (o anche “inclusi contro esclusi”);

3) il frame package denominato “falso problema”.

2.1. Il frame package “tutela dei diritti dei lavoratori”

Il frame “tutela dei diritti dei lavoratori” è la cornice più tipicamente presente nelle argomentazioni di coloro che interpretano lo scontro sull’articolo 18 soprattutto come una questione di arretramento o di avanzamento dei diritti e delle garanzie sociali maturati nel corso dei decenni dal movimento dei lavoratori.

La mobilitazione in difesa dell’articolo 18 propiziata attraverso questo frame si basa sulla convinzione che la norma rappresenti il più efficace deterrente contro i “licenziamenti selvaggi” e debba perciò essere considerata l’architrave stessa dell’intera legislazione del lavoro. Una caratteristica piuttosto evidente del frame “tutela dei diritti” è quella di essere concepito in ottica eminentemente difensiva: emblematica è la metafora della “diga” alla quale ricorre il segretario della CGIL Cofferati, saldando la salvaguardia dello Statuto dei Lavoratori con la contestazione politica delle sinistre all’operato complessivo del governo Berlusconi.

 

2.2. Il frame package “flessibilità del mercato”

Il frame package “flessibilità del mercato” interpreta invece la questione dell’articolo 18 come un problema di rigidità del mercato del lavoro piuttosto che (o prima ancora che) un’eredità positiva della stagione delle lotte sociali.

Per quanto le due varianti di questo “pacchetto” differiscano tra loro in alcuni aspetti significativi, entrambe condividono la stessa spiegazione causale e le medesime conclusioni pratiche. In quest’ottica, la maggiore flessibilità risponde a un’esigenza di riduzione del costo del lavoro, diretto e indiretto, che il declino della grande industria fordista, da un lato, e l’emergere della competizione con i paesi in via di sviluppo, dall’altro, rendono fondamentale e ineludibile.

Entrambe le versioni del frame package “flessibilità del mercato” promuovono questo insieme coerente di giustificazioni economiche, ma si differenziano tra loro per il fatto che mentre il frame “flessibilità per la maggiore occupazione” ha il proprio focus nella descrizione delle supposte conseguenze negative dell’articolo 18 (e, per converso, dei benefici che si trarrebbe dalla sua revisione sostanziale o abrogazione), il frame “flessibilità per l’inclusione degli esclusi” pone l’accento sulla diseguaglianza di trattamento tra i “garantiti” e i “non garantiti”.

In questo modo “inclusi contro esclusi” fuoriesce dalla cornice della giustificazione economica a intervenire e pone una sfida diretta al frame opposto “tutela dei diritti” proprio nel campo che è più congeniale a quest’ultimo, ovvero la sfera dei valori universali e indisponibili. Quasi antitetico può apparire in questo senso l’approccio promosso dal frame “più occupazione”, prioritariamente concentrato sullo sforzo di “desacralizzare” lo Statuto dei Lavoratori e l’articolo 18 (definito “feticcio”, “tabù” o “totem”), riportando la discussione sul terreno “pragmatico” delle misure per l’occupazione e sottraendolo così alle insidie della contrapposizione “ideologica” ultimativa intorno alla legittimità e alla sostanza dei diritti.

Esistono almeno tre alternative nella dicotomia tra “garantiti” e “non garantiti” tracciata dagli assertori di “inclusi contro esclusi”: la prima per volume di citazioni è senza dubbio quella che oppone i lavoratori delle imprese sopra i 15 dipendenti a quelli delle piccole imprese o agli atipici. A questa prima disparità si sommerebbe quella ancor più lacerante che, con un’espressione mediaticamente molto fortunata, oppone i “padri” ai “figli”, vale a dire i dipendenti con sufficiente anzianità di servizio e già ben inseriti nei circuiti del lavoro ai giovani neoassunti o disoccupati. Infine, la terza accezione (largamente sovrapponibile alla seconda) distingue genericamente gli “occupati” dai disoccupati e dai lavoratori del sommerso.

Sono tutte contrapposizioni che riportano con facilità a uno stereotipo comune nell’elettorato del centrodestra sul sindacato e sul lavoratore sindacalizzato: descritto come tendenzialmente anziano (si pensi al riferimento di Berlusconi ai “pensionati organizzati” portati in piazza da Cofferati), succube delle incrostazioni ideologiche dell’operaismo, poco produttivo e poco aperto ai cambiamenti che le trasformazioni dei processi produttivi impongono alla classe imprenditoriale.

Ma non è solo la narrazione del centrodestra ad avvalersi delle possibilità argomentative del frame. Il frame “inclusi contro esclusi” sfrutta infatti due innegabili punti di forza: l’accettazione del proprio assunto di base da parte degli altri frames e l’appello egualitario e rivendicativo.

 

2.3. Il  frame package “falso problema”

L’ultimo dei tre frame packages presenta spunti di riflessione altrettanto interessanti: si tratta del frame adottato da quanti, a prescindere dalla propria autocollocazione politica, ritengono sbagliato individuare nella riforma dell’articolo 18 un passaggio imprescindibile in vista del miglioramento del mercato del lavoro. Peculiare di questo orientamento è la sua sostanziale “neutralità” rispetto ai valori ideologici in campo: benché venga adoperato con una certa frequenza in funzione sostitutiva rispetto a “tutela dei diritti”, il frame del “falso problema” non esclude a priori una visione positiva della flessibilità. L’impianto del “falso problema” condivide con “più occupazione” il maggiore ricorso a dati numerici e statistici per avvalorare una tesi, ed è altresì accomunato a esso da un’attitudine “deideologizzante” rispetto alla questione. Potremmo anzi concludere, volendo avanzare un’ulteriore tipizzazione dei quattro frames, che “più occupazione” e “falso problema” incarnano gli “approcci freddi” al dibattito sull’articolo 18, laddove invece “tutela dei diritti” e “inclusi contro esclusi” esprimono gli “approcci caldi”.

2.4. Un quadro riassuntivo 

Package

Frame

Posizione

Esempi di applicazione del frame

Tutela dei diritti dei lavoratori

La questione è se un’eventuale modifica dell’articolo 18 può rappresentare un avanzamento o un arretramento sul terreno dei diritti sociali e di cittadinanza

L’articolo 18 è un deterrente contro i licenziamenti selvaggi ed è parte di un sistema universale di diritti; non può essere ristretto o cancellato, semmai esteso

Difesa dei diritti che le generazioni precedenti hanno conquistato”

Una diga contro l’attacco ai diritti”

Falso problema

La questione è se un’eventuale modifica dell’articolo 18 è rilevante o meno rispetto al quadro del mercato del lavoro

L’articolo 18 è una norma la cui applicazione e ininfluente sui problemi dell’occupazione; meglio concentrarsi su interventi più incisivi e concreti

Effetto metadone”

Una guerra per un pugno di terra”

Flessibilità del mercato

La questione è se un’eventuale modifica dell’articolo 18 può garantire maggiore o minore flessibilità al mercato del lavoro

L’articolo 18 è un fattore di rigidità del mercato del lavoro che come tale deve essere ristretto o cancellato

Tassello di un processo di modernizzazione”

Accrescere la competitività”

Flessibilità per la maggiore occupazione

La questione è se un’eventuale modifica dell’articolo 18 può assicurare maggiore occupazione

Identica a Flessibilità del mercato

L’articolo 18 garantisce la disoccupazione”

Meglio essere disoccupati o avere un posto?”

Flessibilità per l’inclusione degli esclusi

La questione è se un’eventuale modifica dell’articolo 18 può porre fine alla discriminazione tra garantiti e non garantiti

Identica a Flessibilità del mercato

Un nuovo stato sociale che riconosca i diritti a chi non ne ha”

I padri contro i figli”

3. Alla “guerra dei frames”: il dibattito giornalistico-politico sull’articolo 18 tra il 2002 e il 2012

Tra i principali risultati delle varie rilevazioni si segnala innanzitutto la persistente prevalenza del frame “tutela dei diritti” per numero di citazioni, sebbene i due frames della “flessibilità del mercato” insieme bilancino il quadro: il confronto giornalistico si presenta quindi sostanzialmente equilibrato nella rappresentazione “quantitativa” delle diverse narrazioni.
Si consideri tuttavia che “tutela dei diritti” è proporzionalmente più citato come frame “secondario”, cioè raccoglie un gran numero di citazioni negative o polemiche. Assumendo che anche le citazioni negative attivino nella mente del pubblico un determinato frame, non si può non constatare come gran parte del dibattito si giochi proprio sulla negazione di specifiche accuse: “non vogliamo ridurre i diritti” (una tipica citazione “in negativo” di “tutela dei diritti”) e “non vogliamo che vengano tolte ai figli le conquiste dei padri” (un reframing di “inclusi contro esclusi”) sono due frasi che ricorrono spesso, e in numerose varianti.
Anche qui possiamo constatare una divisione piuttosto netta tra “tutela dei diritti” e “inclusi contro esclusi”, da una parte (i frames con una quantità proporzionalmente molto alta di citazioni indirette o incidentali), e, dall’altra, “più occupazione” e “falso problema” (i frames con un maggior numero di citazioni dirette e coerenti con l’impostazione dell’articolo).
In linea di principio non è poi scorretto affermare che se i “politici” tendono ad abbracciare con più frequenza i due frames provvisti di più evidenti sottintesi ideologici (“tutela dei diritti” e “inclusi contro esclusi”), tra i “tecnici” sono più diffuse le sottolineature di aspetti incorporati nei due frames più “freddi” dal punto di vista ideologico ed emotivo.
Un’impressione ancora diversa è quella che suscita la distribuzione del frame “falso problema”, condizionato soprattutto dal suo andamento non uniforme nel tempo come nelle finalità: su La Repubblica (dove ha il suo picco) questo frame “neutro” viene utilizzato perlopiù in funzione sostitutiva rispetto a “tutela dei diritti”, mentre è più complesso il quadro sulle altre testate.
Le riprese della querelle sull’articolo 18 nel 2003 e nel 2012 sono assai meno affollate e dense di richiami storici di quanto non avvenisse nel 2001-2002: in entrambe le occasioni “tutela dei diritti” si conferma il frame più citato, tanto da superare la somma dei due frames pro “flessibilità del mercato” considerati insieme. A un ridimensionamento altrettanto drastico va incontro il package “neutro” che è stato denominato “falso problema”.
La minor frequenza di riferimenti ai frames in funzione “secondaria” riflette allo stesso modo un minor approfondimento del dibattito sull’articolo 18, ora non più stabilmente al centro dell’agenda politica e mediatica come nei mesi del 2001-2002. Ancor più distante da quel quadro di scontro è il contesto in cui prende vita il progetto di riforma varato dal governo Monti, ben diverso da quello che aveva animato i tentativi di revisione dell’articolo 18 del 2001-2002 e del 2003. La differenza più rimarchevole è forse da rintracciare nel fatto che per la prima volta nessuna delle parti sembra convinta né della possibilità di puntare al mantenimento dello status quo, né dell’eventualità che l’intervento si risolva in una trasformazione radicale dell’articolo 18: “manutenzione” è infatti l’espressione più ricorrente per definire la ventilata modifica. La mutata condizione politica, insieme alla percezione di una diversa “posta in gioco” per cui spendersi, favoriscono una discussione più “tecnica”, e quindi tendenzialmente meno comprensibile e meno coinvolgente per il pubblico.
Riguardo al dato scorporato dei giornali, si segnala un incremento proporzionale di “tutela dei diritti” rispetto al binomio della “flessibilità” anche sui quotidiani a esso più “ostili” (Il Giornale e Il Sole 24 Ore); incremento favorito, oltre che dal già ricordato successo nel campo dei frames “secondari”, da un’inedita attenzione de Il Giornale per il frame “falso problema”.
Sul riconfermato predominio di “tutela dei diritti” pesa inoltre il sostanziale disimpegno dalla contesa della Confindustria (e, in parte, dei suoi referenti più attivi nel centrodestra): un’ulteriore novità nel dibattito del 2012 è infatti costituita dall’endorsement, per così dire, al frame del “falso problema” da parte del vertice di viale dell’Astronomia, nel 2002 e nel 2003 il principale sponsor delle argomentazioni ispirate al concetto di “flessibilità di mercato”.
Il confronto fra le tre “strisce di eventi” testimonia come i frames individuati si siano riproposti nel tempo, magari con qualche lieve “slittamento”, ma senza che si aggiungessero sul piano argomentativo degli apporti così significativi da modificare sensibilmente la struttura dei frames esistenti o da giustificarne l’introduzione di nuovi: in questo senso la diversità della “posta in gioco” (un intervento “restrittivo” nel caso delle riforme del 2002 e del 2012, uno “ampliativo” nel referendum 2003) ha inciso semmai sul posizionamento di alcune delle forze politiche e sindacali rispetto ai frames.
Si è visto, per esempio, come l’area maggioritaria del centrosinistra (i DS meno la corrente liberal e settori della Margherita prima, i “bersaniani” del PD poi) abbia abbracciato convintamente il frame della “tutela dei diritti” quando l’articolo 18 era percepito come “sotto attacco” (2002 e 2012), ma si sia spostata su considerazioni simili – se non organiche – a quelle della “flessibilità per la maggiore occupazione” in occasione del referendum del 2003. Se questa posizione appare dotata di una sua coerenza interna (benché da più parti si sia fatto notare quanto stridesse con la precedente pretesa di Cofferati e del centrosinistra di annoverare l’articolo 18 tra i diritti “universali” e “di cittadinanza”), più sorprendente può sembrare il parziale cambio di rotta del centrodestra e dei vertici confindustriali.
4. Chi ha vinto?
Una curiosità che può sorgere alla fine di questa lettura è se ci sia stato, in qualche modo, un frame che possiamo considerare “vincente” rispetto agli altri: preliminarmente, però, è necessario capire se si intende parlare della rappresentazione giornalistica o dell’opinione pubblica, due piani distinti che non necessariamente finiscono per coincidere.
La valutazione qualitativa delle citazioni proposta nel corso dell’analisi empirica ci aiuta solo in parte a capire come sia stato trattato il problema da parte degli operatori dell’informazione: sarebbe infatti sbagliato assumere che la preponderanza della “tutela dei diritti” (peraltro progressivamente più ampia nel tempo) rispetto alle due cornici della “flessibilità” traduca uno sbilanciamento dei grandi organi di stampa in questo senso.
Come si è ribadito, occorre tener conto del peso delle citazioni negative, il quale è molto più ingente nel pacchetto “pro-articolo 18” che in quello “pro-riforma”, e la cui influenza sulla formazione delle opinioni del pubblico resta di difficile valutazione, poiché se da un lato orienta il lettore nella direzione voluta dall’articolista, dall’altro contribuisce a familiarizzarlo con le metafore, gli esempi e le frasi a effetto proprie del frame che si sta contestando.
Volendo trarre qualche indicazione dalle rilevazioni d’opinione si può supporre che una qualche sorta di “effetto boomerang” nelle operazioni di controframing (degli attori mediatici o degli attori politici attraverso i media) possa davvero essersi verificata: sulla prevalenza di sentimenti contrari all’intervento sui licenziamenti c’è infatti il parere concorde dei sondaggisti, ribadito sia in occasione dello scontro tra Berlusconi e la CGIL, sia nel braccio di ferro sull’attuale riforma.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

– Baccaro, L. e Simoni, M. 2003 Il referendum sull’articolo 18 e gli interventi per la flessibilità del mercato del lavoro (www.unige.ch/ses/socio/luciobaccaro/italiano/18.pdf)

– Barisione, M. 2008 Caso Alitalia: i frame del Tg1 e del Tg5 nella campagna elettorale, in “Com Pol”, 9, n. 2, pp. 55-64. 2009 Comunicazione e società, Bologna, Il Mulino.

– Druckman, J.N. 2001 The implications of framing effects for citizen competence, in “Political Behavior”, 23, n. 3, pp. 225-256.

– Gamson, W.A. e Modigliani, A. 1987 The changing culture of affermative action, in “Research in Political Sociology”, 3, pp. 137-177.

– Gamson, W.A. e Modigliani, 1989 Media discourse and public opinion on nuclear power. A constructionist approach, in “American Journal of Sociology”, 95, n. 1, pp. 1-37.

– Gitlin, T. 1980 The Whole World is Watching: Mass Media in the Making and Unmaking of the New Left, Berkeley, University of California Press.

– Goffman, E. 1974 Frame Analysis: An Essay on the Organization of Experience, New York, Harper & Row; trad. It. Frame Analysis. L’organizzazione dell’esperienza, Roma, Armando, 2001.

– Iyengar, S. 1991 Is Anyone Responsible? How Television Frames Political Issue, Chicago (Ill.), University of Chicago Press.

– Van Gorp, B. 2007 The constructionist approach to framing: Bringing culture back in, in “Journal of Communication”, 57, n. 1, pp. 60-78.