Il federalismo fiscale sarà mai attuato? La legge delega – Giorgio Brosio

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Il federalismo fiscale sarà mai attuato? La legge delega

Giorgio Brosio

 

1. Premessa

In questo articolo tratto solo di una legge, anzi di una legge delega, quella cosiddetta del federalismo fiscale, che definisce nelle sue grandi linee il sistema di finanziamento di Regioni ed Enti Locali in attuazione del nuovo articolo 119 della Costituzione. Come ogni legge delega, anche questa contiene solo principi e criteri direttivi. I tempi di attuazione saranno con ogni probabilità lunghissimi e l’impianto previsto dalla legge è così complesso, sotto il profilo teorico, applicativo e politico, da mettere in dubbio la possibilità di venirne un giorno a capo.

In ogni caso, questa legge delega vale bene una discussione, perché per moltissimi versi essa è la cartina di tornasole dei problemi e delle tensioni che hanno accompagnato l’evoluzione del nostro sistema di relazioni finanziarie intergovernative. Inoltre, la legge, anzi la sua attuazione, mette bene in luce le sfide che il nostro sistema politico dovrà affrontare.

La legge delega è nota nel sistema politico come la legge del “federalismo fiscale”. Bossi l’ha a lungo sbandierata come il punto d’arrivo del processo di creazione del federalismo tout court in Italia. Nella prassi politica italiana, infatti, federalismo fiscale vuol dire quanto si assegna, in termini di risorse, a Regioni ed Enti locali. Nella letteratura e nella pratica internazionale il federalismo fiscale designa invece l’intero complesso delle relazioni intergovernative: dall’assegnazione delle funzioni e delle politiche, alla cooperazione/competizione fra livelli di governo, alle fonti di finanziamento.

Questa circoscrizione del significato denota, forse, un forte senso nostrano della realtà, ma indica anche una concezione un po’ limitata, e limitativa, della trasformazione di tipo federale che è vista come un gioco a somma zero: nuovi poteri, trasferimenti di responsabilità, nuove opportunità contano poco. Contano solo le trasformazioni che modificano i flussi di denaro da Roma alle Regioni e agli Enti locali. Ci vorrà tempo per comprendere che, o almeno per vedere se, ci possono essere vantaggi per tutti.

La gestazione della legge delega è stata lunga, faticosa e caratterizzata da un confronto molto acceso fra le Regioni più ricche – in particolare Lombardia e Veneto – che reclamavano un sistema “alla Catalana”, basato in prevalenza sul principio dell’origine delle risorse, con l’attribuzione a Regioni e Enti locali di una quota sostanziale delle risorse fiscali riscosse dallo Stato – in particolare IVA – sul loro territorio e, dall’altra parte, le Regioni più povere, che richiedevano un sistema basato sul principio della destinazione, cioè sulla ripartizione da parte dello Stato e con criteri equitativi delle risorse da esso prelevate, senza distinzioni territoriali, sull’intero territorio nazionale. Mi pare che queste ultime abbiano prevalso, almeno per il momento, anche se la definizione del nuovo sistema richiede moltissime decisioni ulteriori, che influiranno sulla ripartizione dei costi e dei vantaggi.

2. Obiettivi e contenuto

La legge delega mira a superare il sistema di finanza derivata finora operante basato sul criterio della spesa storica, che ha condotto ad una distribuzione delle risorse del tutto arbitraria e assai poco efficiente. Mira anche, la legge, a coniugare esigenze riconosciute, ma di difficile conciliazione, come la coesione economica, sociale e territoriale del Paese e lo sviluppo delle aree più ricche in un contesto di crescita della competizione internazionale. Oppure, la garanzia della stabilità e unitarietà della finanza pubblica con l’autonomia e responsabilizzazione delle amministrazioni locali. Un compito non impossibile, ma difficile, che tutti i sistemi decentralizzati, o federali, devono affrontare e risolvere. La nostra legge ha scelto, rispetto agli altri sistemi, di intraprendere la strada della complessità. Non esiste, infatti, alcun Paese che abbia un sistema di perequazione così complesso. Ma andiamo a vederlo.

La configurazione del nuovo sistema di finanziamento è vincolata dalla separazione, fatta dalla Costituzione, delle funzioni regionali e locali in due grandi categorie:

a) spese per le funzioni fondamentali, essenziali per garantire i diritti civili e sociali [vincolo della lettera m) del secondo comma, dell’art.117 della Costituzione]. Queste spese contano per circa l’80 per cento della spesa decentralizzata in Italia e includono sanità, istruzione, assistenza e trasporti.

b) altre spese: contano per il restante 20% e includono turismo, cultura, sport e attività economiche.

Per le prime funzioni, quelle fondamentali, Costituzione e legge delega intendono garantire a ogni Regione e Ente locale la possibilità di assicurare lo stesso livello standard di servizi. Questo obiettivo dovrebbe essere raggiunto mediante l’introduzione di “livelli essenziali di prestazioni” (LEP) uniformi su tutto il territorio, cioè di standard.

Al tempo stesso la legge delega mira anche a stimolare l‘efficienza, che dovrebbe essere garantita dall’introduzione del calcolo di costi standard per determinare i livelli di spesa necessari a fornire i livelli essenziali delle prestazioni.

Lo schema che segue dovrebbe agevolare la comprensione del nuovo meccanismo di finanziamento.

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La combinazione dei livelli minimi di prestazioni con i costi standard determina il livello di spesa necessario per ogni funzione, cioè quello che sarebbe il trasferimento lordo, se non ci fossero altre entrate, che invece ci sono. Ed in effetti dalla spesa sono dedotte le entrate rese disponibili a Regioni ed Enti Locali e deputate a finanziare queste spese, quali compartecipazioni e imposte regionali (entrambe tuttora da definire). Occorre chiarire che per le imposte si calcolerà il gettito standardizzato, cioè quello corrispondente a quanto si può effettivamente raccogliere in ogni Regione e Ente locale dalle imposte in questione (se si deducesse il gettito, ogni Regione od Ente locale avrebbe interesse a fare lo sforzo fiscale minimo per avere il massimo di trasferimenti). Per finire, la differenza fra il trasferimento lordo e le entrate è colmata con i trasferimenti perequativi: l’obiettivo di tutto l’esercizio

Per le altre spese (punto b) la garanzia di uniformità territoriale è più limitata, e verrà assicurata attraverso la perequazione delle capacità fiscali, senza considerare i bisogni. Cioè si coprirà la differenza fra le entrate standardizzate, senza necessariamente assicurare un livello minimo di prestazioni.

3. I problemi: a) la definizione delle funzioni

Per le Regioni le funzioni fondamentali sono elencate nella Costituzione: istruzione, sanità, assistenza sociale e trasporti. Per le prime tre non vi è dubbio che si tratti di funzioni fondamentali per garantire i diritti di cittadinanza. Per i trasporti, che sono quelli locali e regionali, vi è invece qualche dubbio. Per gli Enti locali le funzioni fondamentali sono ancora da definire e sono anche meno evidenti. Per i Comuni possiamo discutere se conti di più la viabilità, della raccolta rifiuti, delle fognature o dell’acqua, o dei trasporti. Oppure, se siano tutte fondamentali. Per le Province la nozione di funzione fondamentale è molto sfuggente, dato il ruolo marginale che questi enti hanno nel nuovo ordinamento. L’introduzione di funzioni fondamentali per i tre livelli di governo – Regioni, Province e Comuni – rappresenta piuttosto l’applicazione del principio costituzionale secondo cui il nostro sistema di relazioni governative è basato su sfere autonome di governo e che gli Enti locali non hanno dunque alcuna dipendenza dalle Regioni.

Ovviamente, vi sono interessi contrapposti fra le Regioni sull’estensione delle funzioni fondamentali: quelle del Centro-Nord hanno interesse a restringerle per evitare l’onere, quelle del Sud ad espanderle.

4. I problemi: b) la definizione dei livelli essenziali di prestazione

Vi è un problema tecnico/teorico enorme. In essenza, si tratta di standard, ma vi sono moltissimi modi per definire gli standard. Ad esempio, come diritti: ogni cittadino italiano ha diritto alle cure mediche in qualsiasi Regione si trovi; oppure, ogni cittadino ha diritto alle cure gratuite. Oppure si possono definirei i LEP in termini di prestazioni: ad esempio, si può stabilire che vi deve essere un ospedale generale ogni 500.00 abitanti ed ancora che l’ospedale deve esser in grado di assicurare ogni prestazione chirurgica. Ed ancora si possono definire gli standard in termini di inputs: un medico o un posto letto ogni tante centinaia di abitanti. La scelta non è facile ed è influenzata dagli interessi dell’industria, o dei sindacati, ma non dei pazienti, per i quali conta il risultato. In secondo luogo, i LEP o gli standard possono avere diversa intensità. Si può avere diritto a tutte le cure gratuite, comprese quelle estetiche, o solo a quelle essenziali. Di nuovo, vi è una componente politica e di potenziale conflitto fra le Regioni. Certamente i LEP non sono standard minimi, altrimenti la Costituzione li avrebbe chiamati così, ma devono essere finanziariamente sostenibili, compatibili con l’equilibrio finanziario complessivo del settore pubblico.

Da chiarire che non abbiamo molta esperienza al proposito né in Italia (i livelli essenziali di assistenza per la sanità (LEA) si trascinano da anni), né a livello internazionale.

5. I problemi: c) la definizione dei costi standard

In teoria, la procedura è corretta: calcoliamo con riferimento ai LEP, che abbiamo prima definito, quanto costa produrli con livelli di efficienza standard, cioè normali e concordati. Ma come si fa? Soprattutto come si fa a calcolare costi standard in riferimento a 20 Regioni, a più di 100 Province e a più di 8.000 comuni, funzione per funzione? E’ un compito immane, intrinsecamente poco trasparente e molto conflittuale, di nuovo. Le Regioni del Nord, possiamo facilmente immaginare, possono desiderare di far valere fra i costi, il maggior livello del costo della vita che implica maggiori remunerazioni, quelle del Sud possono opporsi. Un sistema decentralizzato dovrebbe reggersi, quanto più possibile, su meccanismi semplici, automatici, autonomi. Non si pretende troppo nel nostro caso?

6. L’attuazione del nuovo sistema

In definitiva, la legge delega vuole giustamente coniugare efficienza con equità. Vuole cioè non solo finanziare spese, ma ottenere che Regioni ed Enti locali prestino i servizi secondo i livelli essenziali previsti e con efficienza, cioè con costi non superiori a quelli standard.

Il nuovo sistema fa sorgere inevitabilmente una scelta non facile, un trade-off, fra autonomia regionale e locale, da un lato, e efficienza e rispetto delle regole, dall’altro Per chiarire, supponiamo che il livello di efficienza nella spesa sia uguale dappertutto e che ogni Regione fornisca un livello di servizi che corrisponde esattamente ai livelli essenziali previsti. In questo caso ogni Regione riceverebbe esattamente quanto le spetta, lo spende adeguatamente e non ci sono problemi. Ma il caso è molto raro. E’ assai più probabile che le Regioni siano poco efficienti, piuttosto che efficienti e che forniscano meno, invece che più, di quello che devono fornire in termini di LEP.

Proviamo ad esaminare le possibili combinazioni con l’aiuto dello schema che segue

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Il caso 1 non pone ovviamente problemi, ma è rarissimo. Una Regione efficiente e che rispetta i livelli potrebbe addirittura spendere meno del trasferimento ricevuto e destinare la differenza ad altre funzioni. Il caso 2 è un problema per la Regione che lo vive, dovendo spendere di più del trasferimento ricevuto, ma non per il Paese. I problemi sorgono nel caso 4, che è però ancora raro: Regioni che sono efficienti, ma che forniscono meno dei livelli essenziali. Sorgono sopratutto con il caso 3 – quello purtroppo predominante – con Regioni che non sono efficienti e che non soddisfano i livelli essenziali: spendono cioè comunque di quello che dovrebbero spendere e non raggiungono gli obiettivi imposti, ad esempio non assicurano un ospedale ogni 500.000 abitanti.

Le alternative nei confronti dei casi 3 e 4 sono : a) accettare l’autonomia regionale e lasciare che gli elettori (e altri meccanismi politici) risolvano il problema; oppure, b) intervenire con controlli, penalità ed incentivi. C’è una chiara propensione fra gli studiosi e i policy-makers a livello centrale a optare per la seconda scelta, ma la sua realizzazione sarebbe comunque difficile, perché i tagli dei trasferimenti, se mai possibili, possono magari aumentare l’efficienza, ma rendono ancora più improbabile il rispetto dei LEP. In termini politici una politica di tagli appare molto improbabile, se si considera il gran numero di Regioni non efficienti e non rispettose dei livelli che faranno pressioni per un semplice aumento della spesa.

Meglio, a parere di chi scrive, optare per l’autonomia e la responsabilità locale, ma occorre essere capaci di mantenere un vincolo di bilancio rigido: non colmare mai i deficit di chi sfora o non riesce, a differenza degli altri, a fornire ciò che deve fornire. Il mantenimento di questo vincolo è una condizione essenziale per il buon funzionamento di un sistema decentrato o federale, perché evita la concorrenza sleale, ma è anche uno degli obiettivi più difficili da raggiungere. Soprattutto da noi.