Dall’Italicum nubi sul futuro della democrazia

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di Guido Bodrato

La sentenza della Corte che ha dichiarato incostituzionale il Porcellum (perché assegnava un esorbitante premio di maggioranza alla coalizione vincente, ma anche perché si caratterizzava per liste bloccate che permettevano ai partiti di “nominare” i parlamentari, sottraendo questa scelta agli elettori), ha lasciato in campo un sistema proporzionale “puro” che potrebbe favore la frantumazione della rappresentanza parlamentare rendendo più difficile la governabilità.
Non a caso nel 1953 la DC aveva proposto di correggere la legge proporzionale con un premio di maggioranza da assegnare alla coalizione con più del 50% dei voti. Quella riforma, che l’opposizione aveva considerato una “legge truffa”, non è stata applicata per poche migliaia di voti.
La Corte costituzionale ha sfidato i partiti che si erano dimostrati incapaci di fare la riforma elettorale, e quella decisione è stata “uno schiaffo” per partiti interessati a conservare il Porcellum.
Matteo Renzi ha reagito alla sfida, e dopo il plebiscito che lo ha eletto leader del PD, ha posto la riforma elettorale al primo posto nella sua strategia di cambiamento: ha presentato un ventaglio di proposte caratterizzate dall’obiettivo del bipolarismo, ha avviato una verifica con i partiti, ha stretto un patto con Silvio Berlusconi per garantire l’iter parlamentare di una proposta che si propone di rafforzare il bipolarismo, di portare il governo “fuori della palude”.
Il segretario del PD, è convinto di aver fatto “in quindici giorni ciò che gli altri non hanno fatto in dieci anni”, ed ha dichiarato di essersi trovato “in perfetta sintonia” con Berlusconi, contro i dictat dei piccoli partiti. Secondo i sostenitori del sindaco di Firenze, l’Italicum (così ha definito egli stesso questa proposta) permetterà di superare definitivamente le “larghe intese” su cui è fondato il governo Letta-Alfano. E Berlusconi ha dichiarato di avere finalmente trovato un interlocutore affidabile, e si è detto convinto di poter ripetere – in questa nuova fase e con questa riforma – il successo elettorale del 1994. Berlusconi si propone di trasformare la coalizione di centrodestra in una “federazione” e di mettere fuori gioco i cespugli centristi. Casini ha già fatto sapere che rientrerà nei ranghi del centrodestra.
Quasi tutti i media hanno applaudito il “patto bipolare” di Renzi e Berlusconi. Tuttavia questo patto ha provocato giudizi contrastanti: c’è chi ha accusato Renzi di aver rimesso in sella un Cavaliere che la magistratura aveva appiedato, e chi invece gli ha riconosciuto il merito della rinascita della politica. Quasi tutti i media hanno considerato “politicamente corretto” il rafforzamento del bipolarismo realizzato con una forte compressione del pluralismo, ed hanno censurato le opinioni di chi ha accusa l’Italicum di ricordare il Porcellum: i costituzionalisti (Dogliani e Zagrebelsky, ma anche Sartori e Onida) e la presidenza delle ACLI.
Di cosa in realtà si tratta? La proposta di legge trasmessa all’assemblea di Montecitorio (dove Renzi ha una larga maggioranza) che dovrà ottenere anche il voto del Senato, propone di rafforzare la coalizione che conquisterà almeno il 37% dei voti (a livello nazionale) con un premio di maggioranza del 15 per cento, o di assegnare questo premio – in un secondo turno – con un ballottaggio tra le prime due coalizioni. Saranno in competizione, per passare al secondo turno: la coalizione guidata dal Pd, quella guidata da Forza Italia ed il Movimento 5 Stelle.
L’Italicum stabilisce però che ogni lista delle diverse coalizioni debba superare il 4,5 % dei voti, a livello nazionale; i voti conquistati dalle liste che restano sotto questa soglia, sono assegnati alla coalizione di cui fanno parte. Questa norma solleva forti dubbi di costituzionalità, ed anche più forte è il dubbio (relativo all’art. 48 della Costituzione, sull’eguaglianza del voto) che riguarda la norma sull’esclusione dal Parlamento dei partiti non coalizzati che non superano l’8 % dei voti a livello nazionale, e delle coalizioni che raccolgono meno del 12% dei voti. È questo il cambiamento?
Per ridurre il peso delle critiche, è stato presentato un emendamento a favore della Lega che riconosce la rappresentanza alla lista che raccoglie almeno il 9% dei voti in almeno tre regioni, anche se non raggiunge, a livello nazionale, il 4,5% dei voti.
Ma questo emendamento sulla territorialità del voto, rende ancora più evidente l’incostituzionalità delle norme che assegnano un peso diverso ai voti, a seconda della loro concentrazione geografica o a seconda della loro appartenenza alle diverse coalizioni.
A mio parere è corretto stabilire un ragionevole premio di maggioranza, per favorire la governabilità, ed anche una ragionevole soglia di sbarramento per contrastare la frammentazione della rappresentanza parlamentare; ma non è corretto assegnare alla legge elettorale l’obiettivo di cancellare dal Parlamento della Repubblica i partiti e le coalizioni che potrebbero contrastare la strategia dei partiti maggiori, quando superano la soglia del 4,5 % Un sistema elettorale che persegue questo obiettivo, contrasta con l’art.48 della Costituzione e apre le porte alla tentazione autoritaria.
Non è difficile capire che l’intesa affidata ai dictat di Berlusconi “contro i piccoli partiti”, potrebbe assegnare a una coalizione che nel primo turno non supera il 30% dei voti la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari; e potrebbe assegnare più del 40 % dei seggi alla seconda coalizione che ha raggiunto appena il 20 % dei voti, lasciando fuori del parlamento liste che rappresentano un terzo degli elettori. Per queste ragioni i critici hanno parlato di un sistema che favorisce le ammucchiate (inadatte al governo) e presenta evidenti dubbi di incostituzionalità.
In realtà chi ha progettato questa riforma vuole la concentrazione del potere nelle mani del capo del governo, e si propone lo svuotamento della centralità del Parlamento: un sistema presidenziale, di impianto oligarchico.
Matteo Renzi ha esaltato più volte il modello del Sindaco, sapendo bene che nei comuni il sindaco è “monarca assoluto”; e in qualche caso ha aggiunto che in consiglio comunale “si perde tempo”. Come in Parlamento? Con questa riforma nel nome della governabilità si riapre la strada alla “dittatura della maggioranza” e alla “maggioranza del presidente”. Con la personalizzazione della politica, siamo alla post-democrazia…
Passiamo alla scelta dei parlamentari, che il Porcellum assegnava ai vertici dei partiti.
I sostenitori dell’Italicum hanno detto no alle preferenze sostenendo che: a) una lista breve di collegio, alla spagnola, permette l’individuazione delle candidature e quindi risponde positivamente alle preoccupazioni della Corte; b) comunque le primarie permetteranno la scelta dei candidati da parte degli elettori. In realtà, le primarie (come hanno dimostrato le “parlamentarie” sperimentate dal PD) hanno gli stessi difetti attribuiti alle preferenze. Inoltre, anche le liste corte (alla spagnola) attribuiscono ai vertici dei partiti il potere di scegliere i candidati, mentre l’assegnazione dei seggi a livello nazionale cancella il rapporto con il territorio che è l’aspetto più importante del modello spagnolo. Se non si assegnano i seggi a livello di collegio non si può parlare di modello spagnolo.
Chi rifiuta il ricorso alle preferenze, ma non vuole ricadere nelle obiezioni che la Corte ha fatto al Porcellum, dovrebbe scegliere la strada delle candidature uninominali, riconoscendo comunque che queste candidature sono compatibili con un sistema di impianto proporzionale (corretto da un ragionevole premio di maggioranza). Ma a questa proposta si oppone Berlusconi…che vuole “nominare” i parlamentari della coalizione di centrodestra.
Perché Berlusconi ha dichiarato: “Questa è la mia riforma”, e perché quando sono stati ipotizzati alcuni emendamenti sugli sbarramenti e sulle preferenze, ha invitato il suo interlocutore a richiamare all’ordine i parlamentari democratici, poiché “i patti si rispettano”? Berlusconi si ritiene in grado di tornare a vincere, come nel ’94, quando è sceso in campo contro la “gioiosa macchina da guerra” di una sinistra che riteneva di avere già vinto. Berlusconi pensa di poter sommare ai voti di Forza Italia, quelli della Lega, di Alfano e di Casini. Ritiene di poter superare il 38% dei voti…
Il clima da guerra civile che si è creato in Parlamento conferma la fondatezza di una opinione che ho espresso in passato sull’inganno del bipolarismo: il bipolarismo all’italiana ha le sue radici nel berlusconismo, che è una espressione del trasformismo, ma anche nella radicalizzazione della lotta politica, nell’indebolimento delle istituzioni democratiche.
In presenza della crisi economica e istituzionale che l’Italia sta vivendo, e di tensioni sociali che Grillo sta cavalcando spregiudicatamente sia in Parlamento che nel Paese, anche con “post” che evocano la violenza del manganello e dell’olio di ricino, possono dilagare l’astensionismo e l’anti-politica. E la protesta, se spinta fuori dal Parlamento, potrebbe mobilitare la piazza contro le istituzioni. La crisi della democrazia rappresentativa, di una classe politica che non sa decidere, come la storia insegna non sarebbe un problema per una destra che sul trasformismo e sulla radicalizzazione dello scontro politico ha fondato le sue fortune elettorali. Ma è certamente un problema per chi vuole costruire una coalizione riformista di stampo europeo, moderna e responsabile, rispettosa del pluralismo e dei valori della Costituzione repubblicana.

[1] Testo inizialmente pubblicato sul sito associazionepopolari.it