Consigli di lettura – Elena Rotelli

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Consigli di lettura

di Elena Rotelli

 

T. Frank, What’s the matter with Kansas? How conservatives won the heart of America, Holt & Co., New York, 2004.

 

S. Jarding, D. Saunders, Foxes in the Henhouse. How the Republican stole the South and the Heartland and what Democrats must do to run ‘em out, Simon & Schuster, New York, 2006.

 

Si capì subito, fin dal momento che il malandato barcone salpò, che l’imbarcazione avrebbe tenuto assai poco il mare. Per metterlo in condizioni di navigare erano già occorsi giorni e giorni di paziente calafatura, pece e stoppa si erano sprecati per tappare le falle, ma il fasciame era troppo usurato e di certo non avrebbe potuto reggere a qualche ondata più forte delle altre. […] Ho fatto appena in tempo a scrivere questo biglietto e a infilarlo in una bottiglia. Se qualcuno avrà modo di leggerlo, saprà perché abbiamo fatto naufragio. Che Dio abbia pietà della mia anima (Camilleri, Naufragio annunciato, in “MicroMega”, 6, 2007).

 

 

Il 1989 ha decretato la fine della guerra fredda e il declino del regime comunista, ponendo termine alla divisione e all’equilibrio geopolitici del mondo in due grandi blocchi contrapposti. Da quel momento in poi, si è fatta strada la convinzione che stesse nascendo un mondo nuovo, basato sull’economia di mercato e sui valori della liberaldemocrazia e, soprattutto, secondo Fukuyama, unificato ideologicamente e simbolicamente. In questo contesto, la socialdemocrazia è stata rimpiazzata dalla politica della cosiddetta “Terza via” (una soluzione “a metà strada” tra statalismo pianificatore e laissez-faire), basata sì sugli assunti fondamentali del neoliberismo – ossia sulla convinzione che l’obiettivo centrale di un governo debba essere la promozione della crescita economica e che, in ultima istanza, sia la logica del mercato a dover prevalere -, ma che contempla altresì obiettivi quali la complementarità tra settore pubblico e privato, la democratizzazione dei processi decisionali entro le istituzioni nazionali e internazionali, e l’adozione di provvedimenti di politica pubblica ispirati a principi di giustizia ed equità sociale.

Entro questa nuova forma di “imperialismo ideologico”, le sinistre europee hanno rinnegato il passato, perdendo così i propri punti di riferimento, per trovare nel capitalismo neoliberista, per dirla con Gallino, l’”essenza incontenibile della modernità”. La quasi totale assenza di contestazione nei confronti dell’”ideologia unica” ha permesso a tali sinistre l’adozione indolore di molti dei punti del programma dei partiti conservatori, a cominciare dalla deregolamentazione del mercato del lavoro e la riduzione ai minimi termini delle politiche di intervento macroeconomico. Ci si trova così davanti alla “capitolazione dei partiti socialdemocratici di fronte all’idea neoliberista, con la “Terza via” assurta a una sorta di tranquillante civico, di oppio dei popoli in chiave postmoderna” (Hamilton, Sviluppo a tutti i costi, Orme, Milano, 2004).

La sostanziale subalternità della sinistra riformista all’ideologia liberista, registratasi negli ultimi vent’anni, si è tradotta nell’incapacità da parte della politica di fornire risposte alla collettività, che ha generato, a sua volta, sentimenti di disaffezione, antipolitica e vero e proprio disgusto nei confronti della politica: sentimenti che rendono i cittadini più esposti al populismo conservatore di destra. Non è un caso che attualmente solo cinque paesi europei siano guidati da governi di sinistra. Nello specifico ambito italiano, il crollo del comunismo si è quasi accompagnato alla crisi del sistema partitico della cosiddetta Prima Repubblica nei primi anni ’90, in seguito al quale uno dei più forti partiti di sinistra nella storia dei paesi occidentali, è stato incapace di ricostruire una propria identità e di offrire ai cittadini-elettori una convincente alternativa politica in cui riconoscersi. A “cavalcare l’onda”, in quegli anni, è stato il neonato partito Forza Italia, guidato dal magnate dei media Silvio Berlusconi, il quale, nel pochi mesi a ridosso dalle elezioni del 1994, guadagnò per sé e per il suo partito la legittimazione da parte degli elettori come attore dell’arena politica, attraverso l’uso delle emittenti di sua proprietà come “tribuna dalla quale rendere visibile e lanciare un nuovo prodotto in un mercato politico improvvisamente destrutturato” (Roncarolo, Una crisi allo specchio, in “Teoria politica”, 2007).

I fenomeni appena illustrati costituiscono lo spunto per segnalare due libri pubblicati negli Stati Uniti qualche tempo fa e che, seppur riferiti unicamente al contesto americano, possono essere d’aiuto per comprendere l’attuale crisi delle sinistre europee e individuare, allo stesso tempo, alcune possibili soluzioni a un’impasse che dura ormai da due decenni. Si tratta del libro di Thomas Frank, intitolato What’s the matter with Kansas? How conservatives won the heart of America e di quello di Steve Jarding e Dave Saunders, intitolato Foxes in the Henhouse.

Come è possibile che molti lavoratori dipendenti americani, appartenenti alle classi medio-basse, votino i repubblicani, andando così contro i loro stessi interessi? E’ da questo interrogativo che prende le mosse il libro di Thomas Frank, in cui l’autore – con un atteggiamento che è un misto di incredulità, rabbia e fiducia nel futuro – analizza il processo attraverso il quale molti fra i più devoti liberal si sono “convertiti” alla nuova imperante dottrina conservatrice e hanno finito per votare i repubblicani. Frank, che è columnist non di un giornale comunista, ma del Wall Street Journal, esamina questa nuova ondata conservatrice attraverso il ruolo svolto dai suoi teorici, dai rappresentanti eletti e da coloro che fanno propaganda sul territorio (alcuni di essi da lui intervistati), nel tentativo di capire la natura della confusione che ha portato tanti individui a sostenere una politica estremamente dannosa per le loro stesse esistenze. Per far ciò ha scelto il Kansas, un osservatorio, diciamo così, privilegiato: un luogo che un tempo è stato il focolaio delle riforme progressiste e che oggi è abitato dai più ferventi e entusiasti sostenitori dei Cons.

La nuova ondata conservatrice, definita da Frank come The Great Backlash, fa incetta di sostenitori fra le classi popolari, a ritmo del motto values matter most, mobilitando gli individui rispetto a questioni culturali scottanti e controverse, che chiamano in causa i valori cristiani, come ad esempio il matrimonio fra gay, la preghiera a scuola, l’aborto. In realtà, sostiene Frank, i vecchi valori conservatori vengono utilizzati dai repubblicani come fonte di legittimazione durante i comizi elettorali, ma perdono immediatamente la loro pregnanza una volta che essi sono chiamati a governare, per lasciare spazio a politiche volte alla deregolamentazione fiscale e alla riduzione salariale; per dirla con Frank, the leaders of the backlash may talk Christ, but they walk corporate.

L’appello ai valori si accompagna all’attività dei teorici del Backlash, i quali immaginano un mondo fatto di cospirazioni, in cui il nemico è rappresentato dal potere impersonificato, fra gli altri, dai media liberali e dagli scienziati laici, additati come coloro che tirano le fila e che decidono le sorti del paese. Quest’impalcatura ideologica ha finito per creare un format melodrammatico, che fa rientrare nell’alveo della tradizione repubblicana tutto ciò che è socialmente accettabile, format attraverso il quale si ottengono gli stessi effetti della propaganda pubblicitaria: si dà fuoco alle polveri alimentando una issue (ad es. il matrimonio fra gay); a ciò segue l’indignazione popolare, che si traduce, in occasione delle consultazioni elettorali, in una cospicua quantità di voti a favore dei repubblicani.

Da qui una situazione a dir poco paradossale, una “rivoluzione francese al contrario” come la definisce l’autore: il movimento della classe lavoratrice ha provocato a se stessa danni incalcolabili, primo fra tutti lo smantellamento dello Stato sociale, cui si è accompagnata una redistribuzione iniqua della ricchezza, che rende sempre più simile l’America attuale a quella di un secolo fa. “Il XX secolo rischia essere cancellato”: è questo il monito di Thomas Frank. Finora è stato così per le riforme contro la povertà che risalgono agli anni 60, per le politiche di intervento macroeconomico degli anni 30; attualmente, sarebbero nel mirino dei conservatori la tassazione sul patrimonio e le misure antitrust.

Anche Jarding e Saunders in Foxes in the Henhouse pongono sul banco degli imputati una certa concezione della politica, nella fattispecie quella posta in essere dai Repubblicani durante la presidenza di George W. Bush: una politica che ha dimenticato, ovvero si è disinteressata della cittadinanza che con il mandato elettorale era stata chiamata a servire; una politica che ha sacrificato l’etica della responsabilità sull’altare degli interessi particolari delle élites economiche e finanziarie.

In questo libro, gli autori, che sono due sperimentati consulenti del Partito democratico, specialisti di strategia politica, documentano l’ascesa del Partito repubblicano nel sud degli Stati Uniti: un’ascesa caratterizzata da menzogne, ipocrisie e corruzione. Lo fanno in un modo che agli occhi del lettore rende il libro molto simile al buon giornalismo d’inchiesta. Jarding e Saunders mettono in evidenza come, con il pretesto di aiutare le industrie per creare posti di lavoro, si sia assistito a una redistribuzione della ricchezza che ha seguito un’insolita direzione: è stato tolto alle classi lavoratrici e, in un gioco a somma zero, è stato dato alle élites economiche e finanziarie, sia in termini di vantaggi monetari (accesso a fondi pubblici, tagli delle tasse, diminuzione del costo del lavoro), sia in termini di libertà dalle restrizioni normative (come quelle riguardanti la tutela ambientale). Lungi dall’aver avuto ricadute positive sulla collettività, queste politiche si sono tradotte in un aumento senza precedenti della sperequazione sociale, dell’inquinamento ambientale e della disoccupazione, in una riduzione dei salari e nella messa in discussione delle protezioni sociali dei lavoratori.

Le politiche disastrose poste in essere dall’amministrazione repubblicana, così come quelle che essa non ha avuto la volontà o il coraggio di varare – attraverso le quali sarebbe stato possibile trovare soluzioni ai problemi che nell’ultimo decennio hanno afflitto la società americana –, si sono tradotte, nel complesso, in un peggioramento delle condizioni di vita di milioni e milioni di americani, alimentando fra di essi un senso di inefficacia della politica. Questo “deficit di rappresentanza” ha così trasformato un paese, ritenuto un tempo buono e giusto dai propri cittadini, in un Nazione in cui le persone hanno perso fiducia nella politica e sono disgustate dall’azione di governo.

Il guaio, come sostiene Frank in What’s the matter with Kansas, è che attraverso la nuova dottrina conservatrice, i repubblicani continueranno a vincere anche di fronte a probabili, quanto disastrosi, fallimenti. Tutto ciò è sistematicamente sottovalutato dai liberali, che circoscrivono il fenomeno alla protesta di un gruppetto di nostalgici e ignoranti contadini razzisti, di un gruppetto di bianchi arrabbiati che non sono stati capaci di stare al passo con la storia. Quella dei liberali è una posizione rischiosa, secondo Frank, perché porta a sottovalutare il potere dei conservatori e il loro successo presso le classi popolari.

L’importanza di far sì che la “sinistra” americana acquisisca consapevolezza di siffatta situazione, ha indotto Jarding e Saunders a non limitarsi a puntare il dito contro una politica corrotta da interessi particolari, priva di coraggio e di lungimiranza, incapace di prendere decisioni per il bene della collettività, ma a tentare altresì di “svegliare” un Partito democratico assopito, troppo spesso inerte di fronte ai soprusi che si consumano a danno della collettività; un partito che si crogiola nella paura della perdita di voti e che ha perduto la volontà di combattere per quei valori che, nel corso dei secoli, avrebbero reso gli USA un paese simbolo per l’umanità, il modello da seguire per gli Stati-Nazione che aspiravano alla democrazia, ai diritti di libertà, all’uguaglianza delle opportunità. L’esortazione degli autori non si limita a una semplice “pacca sulla spalla”, ma è corredata da una serie di consigli pratici – di tanto in tanto elargiti con un pizzico d’ironia – che, se tradotti in azioni concrete, aiuterebbero il Partito democratico a vincere le elezioni: imparare a contare i voti; definire in modo chiaro l’identità del partito di fronte agli elettori, insieme agli elementi che la distinguono da quella del proprio avversario politico; mostrare passione quando si lotta per gli interessi dei cittadini contro gli interessi particolari; difendersi strenuamente dalle accuse degli avversari; ritrovare il legame con l’America rurale, parlando con la gente nel luogo in cui vive e con riferimento ai problemi concreti che essa si trova ad affrontare.

L’accorato appello al coraggio di Jarding e Saunders non si rivolge solo ai membri del Partito democratico, ma è ad uso e consumo della gente comune: è un richiamo patriottico, attraverso cui si tenta di ricordare ai cittadini americani ciò che il loro paese è stato in passato e ciò che potrebbe ancora essere in un futuro non lontano.

Una volta fatti propri i propositi meritori di Jarding e Saunders presentati in Foxes in the Henhouse, al lettore rimane un solo dubbio: la “riscossa” e la successiva vittoria dei democratici nella lotta per la conquista del governo del paese, rappresenterebbero una vera e propria soluzione ai problemi che affliggono la politica americana e, con essa, i cittadini che pretende di rappresentare? Chi scrive è scettico a questo proposito. Un governo guidato dai democratici sarebbe infatti solo una “cura palliativa” neanche troppo efficace – e, comunque, parziale – per una “malattia” che ormai si è diffusa su scala globale: l’invasione della sfera pubblica da parte di un potere economico onnipotente, di fronte al quale la politica risulta troppo spesso deferente e accondiscendente, quando non serva fidata. Ḗ forse un caso che nell’interpretazione dell’attuale società americana offerta da Frank in What’s the matter with Kansas, vi sia un forte richiamo al modello marxiano della causalità sociale e all’idea di falsa coscienza? Secondo Frank, infatti, l’operato dei repubblicani sarebbe guidato da interessi di tipo economico, per il raggiungimento dei quali è necessaria la “collaborazione” delle masse popolari. Questa esigenza spiega il bisogno di costruire un apparato ideologico, una sovrastruttura illusoria, che in qualche modo legittimi l’azione dei conservatori e che crei appunto una falsa coscienza, una visione fittizia della realtà e degli interessi in gioco, che consenta la riproduzione della classe sociale dominante, che oggi è rappresentata principalmente dai vertici delle oligarchie economico-finanziarie.

Dopo il crollo del “Muro di Berlino” nell’89 scienziati sociali, intellettuali e politici di tutto il mondo si sono affrettati a decretare l’anacronismo e la conseguente eutanasia dell’ideologia e dei valori del comunismo e a celebrare il trionfo dell’economia di mercato, ritenuta necessaria per la sopravvivenza della liberaldemocrazia a livello globale. Oggi più che mai, in seguito alla crisi economico-finanziaria, con le tragiche conseguenze che ha comportato in termini di peggioramento delle condizioni di vita di milioni di individui, sarebbe necessaria da parte della politica e, soprattutto, dai partiti di sinistra europei una riflessione critica, una messa in discussione del paradigma economico dominante e la definizione di un nuovo “patto sociale” con i cittadini.