Basilea III: il credito, le banche, le imprese – Marcellino Conteri

Print Friendly, PDF & Email
di Marcellino Conteri

 

1. Banche e Basilea III

La crisi finanziaria internazionale scoppiata nel 2007, i cui effetti negativi si sono trasmessi all’intero sistema economico mondiale, ha messo in evidenza la necessità di un ripensamento della regolamentazione prudenziale bancaria.
Sebbene la crisi sia stata causata da una serie di fattori e di interessi politico-economici-finanziari, interconnessi tra loro, è certamente vero, a detta del Vice Direttore della Banca d’Italia Giovanni Carosio, «che l’apparato regolamentare e di supervisione del settore finanziario non è stato in grado di prevenire l’eccessiva dilatazione dei rischi o di imbrigliare la trasmissione della turbolenza finanziaria». Tali circostanze hanno spinto il Comitato di Basilea1 a intervenire introducendo una serie di riforme sostanziali per integrare e migliorare, sulla scorta dell’esperienza maturata durante la crisi, il precedente accordo sull’adeguatezza patrimoniale delle banche, chiamato Basilea II, entrato in vigore solo nel 2008, ma ormai già superato dagli eventi.
Nel novembre 2010, i capi di Stato e di Governo riuniti a Seul per l’incontro del G20 hanno approvato le proposte del Comitato di Basilea relative al “Nuovo Accordo sull’Adeguatezza Patrimoniale delle Banche”, che prende il nome di Basilea III e che entrerà in vigore in fasi successive tra il 2013 e il 2019. Un così lungo periodo per la sua completa attuazione è stato pensato per permettere alle banche di adeguare le proprie strutture ai nuovi parametri, senza risentire di eccessivi contraccolpi alle loro capacità creditizie ed evitare pericolose ricadute negative sulla ripresa economica.
Uno dei principali fattori che ha reso così grave la crisi economico-finanziaria del 2007, come è espressamente specificato nell’introduzione al documento di Basilea III, è stato che «i sistemi bancari di numerosi paesi presentavano un’eccessiva leva finanziaria in bilancio e fuori bilancio, che si era accumulata nel corso degli anni precedenti». A ciò si aggiunge il problema della pro-ciclicità economica evidenziato, già in fase di attuazione di Basilea II, con particolare preoccupazione da parte del settore delle imprese, e di una graduale erosione del livello e della qualità della base patrimoniale. Il Comitato ha messo inoltre in evidenza come il precedente regolamento non fosse in grado di cogliere la presenza di rischi rilevanti, in bilancio e fuori bilancio, nonché le esposizioni connesse a strumenti derivati, pronti contro termine e finanziamento titoli.
La riforma è intervenuta quindi per migliorare la tenuta del sistema bancario tramite il rafforzamento dello schema di adeguatezza patrimoniale, rifacendosi ai medesimi tre pilastri di Basilea II: (1) requisiti patrimoniali minimi; (2) controllo prudenziale dell’adeguatezza patrimoniale; (3) trasparenza delle informazioni.
In sintesi, gli obiettivi che la riforma intende perseguire possono così riassumersi:
1) superare i limiti di Basilea II;
2) prevenire l’eccessiva assunzione dei rischi da parte delle banche;
3) rendere il sistema finanziario più solido.
Per raggiungere tali obiettivi, Basilea III impone obblighi alle banche volti a rafforzare i requisiti prudenziali e a detenere una base patrimoniale di elevata qualità per poter far fronte alle proprie esposizioni di rischio.
La riforma rende più severi i requisiti a fronte delle esposizioni verso cartolarizzazioni o prodotti finanziari complessi come i derivati, per i quali le nuove regole dovranno essere recepite e applicate dal 1° gennaio 2013. Essa impone inoltre il rispetto di un indice massimo di leva finanziaria2 (leverage ratio), per limitarne l’uso, contribuendo in tal modo a ridurre il rischio di processi di deleveraging destabilizzanti che potrebbero arrecare pregiudizi al sistema finanziario o all’economia.
Si è già accennato in precedenza a come la pro-ciclicità sia stata uno tra gli elementi destabilizzanti della crisi. La tendenza degli operatori a comportarsi in modo pro-ciclico, afferma il documento di Basilea III, è stata accentuata da una molteplicità di canali, tra cui i principi contabili applicati alle attività e ai prestiti detenuti fino a scadenza (le une e gli altri contabilizzati al valore di mercato), le prassi di adeguamento dei margini e l’accumulo o il decumulo di leva finanziaria da parte delle istituzioni finanziarie, delle imprese e dei consumatori. Il Comitato di Basilea introduce una serie di misure volte a rafforzare la solidità delle banche di fronte a tali dinamiche pro-cicliche. Dette misure concorreranno ad assicurare che il settore bancario assorba gli shock, anziché trasmettere il rischio al sistema finanziario o all’economia in generale. Le banche saranno quindi chiamate ad accumulare capitale aggiuntivo, chiamato buffer, rispetto ai minimi regolamentari nei momenti di maggior crescita, potendo così affrontare eventuali fasi negative del ciclo senza interrompere il finanziamento all’economia.
Per ciò che riguarda il rischio di liquidità, anch’esso concretizzatosi durante l’attuale crisi, il Comitato ha proposto due regole:
1) l’indicatore di breve termine o Liquidity Coverage Ratio (LCR), che intende promuovere la “resilienza” (la capacità di resistere a eventi avversi in modo da garantire continuità di funzionamento e di erogazione dei servizi) degli istituti bancari di fronte a possibili turbative della liquidità su un orizzonte di trenta giorni. Esso contribuirà ad assicurare che le banche dispongano di un livello adeguato di attività liquide di alta qualità, non vincolate e atte a controbilanciare gli eventuali deflussi di cassa netti, connessi con uno scenario di stress acuto di breve periodo. In tale periodo le banche non saranno pertanto costrette a ricorrere al mercato o al rifinanziamento presso la Banca Centrale;
2) l’indicatore strutturale o Net Stable Funding Ratio (NSFR), che prevede che le banche mantengano, su un orizzonte temporale di un anno, un ammontare minimo di provvista stabile in relazione al grado di liquidità dell’attivo, nonché al potenziale fabbisogno contingente di liquidità derivante da impegni fuori bilancio. Tale indicatore mira a evitare che, nelle fasi di elevata liquidità sui mercati, sia fatto un eccessivo ricorso al finanziamento a breve termine e a promuovere una maggiore attenzione al rischio di liquidità con particolare riferimento a tutte le poste in bilancio e fuori bilancio. Tale indicatore garantisce un equilibrio strutturale del bilancio delle banche e incentiva il ricorso a fonti di finanziamento stabili e durature.
Anche l’entrata in vigore delle regole sulla liquidità sarà graduale: l’indicatore di breve termine entrerà in vigore nel 2015, quello strutturale nel 2018.
Il nuovo Accordo prevede inoltre che le banche effettuino periodicamente delle prove di stress. Con una frequenza mensile per le esposizioni relative ai principali fattori di rischio di mercato quali tassi di interesse e di cambio, corsi azionari, spread creditizi e prezzi delle materie prime. Con una cadenza almeno trimestrale si terranno, inoltre, prove di stress multifattoriali come l’esposizione alla curva dei rendimenti e i rischi di base. Tali prove dovrebbero cercare di contemplare scenari in cui si verifichino gravi eventi economici o di mercato, la liquidità del mercato nel suo complesso sia significativamente diminuita, l’impatto sul mercato della liquidazione di posizioni di un intermediario finanziario di grandi dimensioni.
I risultati delle prove di stress dovranno essere segnalati periodicamente all’alta direzione, la quale dovrà assumere un ruolo guida per integrare tali prove nel sistema di gestione del rischio e assicurarsi che i risultati dei test siano significativi e utilizzati per la gestione del rischio creditizio.
In breve, Basilea III aumenta decisamente le percentuali di capitale che le banche dovranno detenere a fronte dei rischi che assumono o per far fronte a eventuali squilibri economico finanziari; e, mentre il requisito di ponderazione per il rischio viene lasciato invariato all’8%, aumenteranno altri indici a copertura futura eventuale di eventi negativi. Infatti, il patrimonio di base, il cosiddetto Tier 1, a coperture delle perdite in un’ottica di continuità aziendale, salirà dall’attuale 4% al 6%. Il patrimonio di base di qualità primaria o Core Tier 1 o Common Equity Tier 1, formato da azioni ordinarie e riserve di utili, salirà, a fronte dell’attuale 2%, al 4,5%. A tutto ciò va aggiunta la creazione del cosiddetto buffer, ovvero cuscinetto, pari al 2,5%. Nei periodi di espansione economica e creditizia, sarà inoltre richiesto alle banche dall’Autorità di Vigilanza di detenere un ulteriore buffer patrimoniale, il cosiddetto countercyclical capital buffer che potrà raggiungere un ulteriore 2,5% delle attività rischiose.
2. Il possibile impatto di Basilea III sulle imprese
Il nuovo accordo di Basilea, sta generando nel mondo imprenditoriale notevoli preoccupazioni e perplessità, in quanto si ritiene che le sue regole potranno creare rilevanti problemi per l’accesso al credito. Le banche sono chiamate, infatti, a detenere capitale in misura proporzionale ai rischi che assumono.
Questa preoccupazione, invero, era già stata sollevata dalle stesse banche con l’avvento di Basilea II, che determinava il rischio di credito in modo analitico, posizione per posizione, adottando per la prima volta il rating quale strumento principale per il controllo dell’affidabilità della controparte. Ricordiamo che le PMI (piccole e medie imprese), in Italia, ma non solo, sono caratterizzate da una forte propensione all’indebitamento, in particolare nei confronti delle banche. La struttura del debito delle PMI, infatti, risulta essere composta per oltre il 70% da debiti a breve termine, soprattutto verso banche, per il 22,6% da mezzi propri e solo per il 3% da debiti a medio e lungo termine. Questo dato rivela una tendenza delle imprese a ricorrere a strumenti finanziari costosi e ad alto rischio, sia per una mancanza di cultura finanziaria, sia soprattutto per la difficoltà ad attingere a finanziamenti a medio-lungo periodo.
Questa condizione di debolezza finanziaria delle PMI, già messa a dura prova da Basilea II e dalla perdurante crisi recessiva attuale, rischia di aggravarsi ulteriormente con l’entrata in vigore di Basilea III, che contiene parametri estremamente più severi per la salvaguardia del capitale. Infatti le banche, per rispondere positivamente alle situazioni di prove di stress e arrivare preparate all’appuntamento di Basilea III, sono impegnate a rafforzare i loro vincoli patrimoniali e a selezionare di conseguenza con maggiore rigidità le controparti, siano esse imprese o famiglie.
Diviene così un fattore di preoccupazione anche il costante ritardo nel sistema dei pagamenti che caratterizza il nostro paese, a differenza di ciò che accade negli altri paesi dell’Unione europea. Le PMI che intrattengono rapporti commerciali con gli enti pubblici o con grandi imprese, sono pagate dopo 180 giorni e in alcuni casi tale termine si protrae più a lungo, esponendo le imprese stesse a notevoli problemi di liquidità e quindi a una spasmodica ricerca di credito per poter proseguire la propria attività: pagare fornitori, stipendi e imposte ed effettuare investimenti. Se le banche, dopo averne esaminato i bilanci alla luce degli obblighi prescritti da Basilea III, riterranno tali imprese clienti con un’alta percentuale di rischio d’insolvenza, potranno non concedere loro nuovi crediti oppure aumentare i tassi d’interesse o infine revocare la linea di credito concessa in precedenza.
Un altro aspetto critico sarà il ruolo che potranno ancora svolgere i Confidi, ovvero consorzi e cooperative di garanzia collettiva dei fidi, il cui scopo è quello di esercitare in forma mutualistica l’attività di rilascio di garanzie e di riduzione del rischio nei confronti di istituti di credito che concedano finanziamenti ai soci del consorzio, rappresentati da PMI o da altri consorzi. Diversi enti pubblici, di norma quelli territoriali, intervengono a sostenere, in diverse forme, tale attività consortile. Considerando che gli enti pubblici si trovano a dover fare i conti con propri problemi di bilancio e con i nuovi vincoli di austerità che lo Stato ha posto in essere, sarà possibile che l’aiuto che essi fornivano alle imprese, garantendo per loro e riducendo sensibilmente il rischio per la controparte, si riduca notevolmente, con pericolose ricadute sul tessuto produttivo.
Secondo i dati della Centrale dei Bilanci, le imprese con meno di 50 addetti presentano una struttura finanziaria relativamente fragile e un’elevata esposizione nei confronti del sistema bancario. A conferma di questo dato, un’indagine del Centro Studi Unimpresa, condotta su 130 mila aziende associate, mostra come, nei primi quattro mesi del 2012, oltre il 50% di dette aziende ha dichiarato di avere problemi con le richieste di finanziamento o di aver ricevuto una richiesta di rientro dei fidi.
Se il tasso di interesse applicato dalle banche alle imprese rispecchierà sempre più il livello del rischio, diventerà sempre più importante per le imprese mantenere una struttura finanziaria equilibrata, ma tale proponimento in condizioni economiche come l’attuale può diventare irrealizzabile.
3.Conclusioni
Basilea III, il cui scopo è di far sì che le banche siano finanziariamente più solide e meno esposte ai rischi, potrebbe rendere estremamente difficile, se non impossibile, l’accesso al credito per imprese e famiglie, da un lato facendo ricadere le conseguenze della crisi su soggetti che non l’hanno creata, dall’altro ponendo seri ostacoli alla ripresa economica che del credito ha imprescindibilmente bisogno. Sotto l’aspetto macroeconomico, l’entrata in vigore di questa riforma, date le condizioni economiche attuali e le difficoltà di imprese e famiglie, potrebbe essere l’equivalente di una stretta monetaria: minori crediti distribuiti e tassi d’interesse più elevati. Ciò avrebbe ripercussioni negative sul livello del reddito e della disoccupazione, già significativamente cresciuta nell’attuale periodo di recessione. Il condivisibile obiettivo di rafforzare la solidità delle banche, elemento fondamentale per la stabilità e la crescita dell’economia, non può prescindere dall’assicurare adeguati flussi di credito a famiglie e imprese. Non si può che augurarsi che la presa di coscienza dei suddetti problemi possa contribuire a trovare la strada giusta per coniugare il rigore delle regole con la necessità della crescita.

Note

1. Il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria è un organismo di consultazione istituito nel 1974 dai Governatori delle Banche Centrali dei dieci paesi più industrializzati del mondo, che si riunisce periodicamente presso la Banca dei Regolamenti Internazionali con sede a Basilea. Oggi il Comitato è composto da alti esponenti delle Banche Centrali e Autorità di Vigilanza di: Arabia Saudita, Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cina, Corea, Francia, Germania, Giappone, Hong Kong SAR, India, Indonesia, Italia, Lussemburgo, Messico, Paesi Bassi, Regno Unito, Russia, Singapore, Spagna, Stati Uniti, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Turchia. Esso fu pensato e creato a seguito di un avvenimento che rimase a lungo nella memoria del mercato: il fallimento della banca tedesca Bankhaus Herstat. La gravità di quel fallimento condizionò i lavori del Comitato, deputato a intervenire per supportare il buon funzionamento e la stabilità del sistema finanziario nella sua globalità. Esso non ha né potere legislativo, né regolamentare, ma le sue proposte sono intese come vincolanti e sono orientate a due fondamentali obiettivi: estendere la regolamentazione di vigilanza a tutte le istituzioni bancarie nel maggior numero possibile di paesi e rendere maggiormente efficace la regolamentazione di vigilanza bancaria.
2. La leva finanziaria misura il rapporto fra esposizione al rischio e patrimonio di una banca. Sfruttare la leva finanziaria significa prendere in prestito dei capitali confidando nella propria capacità di investirli ottenendo un rendimento maggiore del tasso di interesse richiesto dal prestatore. L’uso della leva finanziaria è tipico degli investimenti azionari in prodotti derivati (futures e hedge funds) che consiste nel manovrare una determinata quantità di strumenti finanziari utilizzando un investimento di capitale molto inferiore al valore degli strumenti manovrati. L’uso di un’elevata leva finanziaria può provocare, in caso di risultati negativi della gestione o quando cada improvvisamente il valore dei titoli, situazioni di difficoltà, quali si sono manifestate durante la crisi del 2007 (mutui subprime). Le istituzioni coinvolte sono costrette a una brusca riduzione della leva (deleveraging) con una riduzione delle poste in bilancio e, nel caso di banche, con una riduzione del credito (credit crunch). Per esempio, si immagini di moltiplicare per 20 volte il potenziale d’investimento rispetto al capitale che si ha a disposizione: con 1000 euro se ne possono investire 20 mila. Con un guadagno del 5% su 20 mila euro investiti si raddoppia il capitale di partenza. Ma se invece di guadagnare si subisce la modesta perdita del 5%, il capitale investito si azzererà. Nell’esempio si è supposta una leva pari a 20, ma la banca Leheman Brothers utilizzava una leva pari a 31, la Deutsche Bank a 53 e la Barclays a 61! Il Comitato verificherà un indice di leva per il Tier 1 (il capitale azionario e le riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte) pari al 3% del totale durante il periodo di sperimentazione dal 1° gennaio 2013 al 1° gennaio 2017.