I tecnici, la politica, l’energia

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di Mario Vadacchino

 

1. L’Italia è stata governata nell’ultimo anno dal governo Monti, definito tecnico in quanto non figlio dei partiti, ma formato da personalità estranee al mondo della politica. Accertata l’incapacità, o la non volontà, del governo Berlusconi di adottare i provvedimenti necessari per fermare l’aggravamento continuo della situazione finanziaria, segnalato sinteticamente dal crescere dello spread, e in assenza di una maggioranza alternativa, il presidente Napolitano ha proposto una soluzione indipendente dai partiti.

Anche il programma di questo governo è stato considerato tecnico, adeguato a una situazione di assoluta emergenza. Ma esiste un’altra accezione dell’aggettivo tecnico, che è alla fine prevalsa nel dibattito politico, ed è quella di oggettivo: i provvedimenti presi dal governo Monti, in quanto soluzioni indipendenti dai partiti, e quindi dalle loro ideologie e dagli interessi da loro rappresentati, sono nell’interesse di tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro condizione sociale, dal reddito e anche dalle responsabilità che ciascuno porta nella grave situazione finanziaria creatasi negli ultimi anni.

Il carattere oggettivo di questi provvedimenti è stato avvalorato dal fatto che le due principali componenti della maggioranza non avevano su alcuni importanti provvedimenti, come la nuova legge sulle pensioni o quella sul lavoro, idee tra loro tanto diverse da essere incompatibili. Sia il governo Prodi, sia quello Berlusconi avevano già affrontato queste questioni; e i loro provvedimenti andavano entrambi nella direzione di aumentare l’età del pensionamento e di ridurre le garanzie sul lavoro. L’oggettività dei provvedimenti del governo Monti ha quindi origine profonde e antiche.

Se non che, a seguito di questi provvedimenti, ma anche del recente patto di stabilità, vi sono sicuramente dei perdenti e dei vincenti. Presumibilmente ha perso l’equità, ma non è qui il caso di sviluppare questo tema: la considerazione serve tuttavia a dimostrare che nessun governo, neanche tecnico, può adottare provvedimenti che siano davvero oggettivi.

2. Il tema dei rapporti tra tecnica e politica è insomma complicatissimo. Ne offre conferma un caso concreto come quello del recente voto referendario sulle centrali nucleari. Nel caso del referendum l’oggetto del voto è definito e limitato; e nella decisione sul voto possono essere meno determinanti le considerazioni legate alla condizione sociale dell’elettore. Si può dunque pensare che possano avere avuto un peso più rilevante motivazioni basate su analisi prettamente tecniche e quindi presumibilmente più oggettive.

Poiché la qualità del voto è connessa alla qualità di informazioni che l’elettore ha potuto acquisire sull’oggetto della votazione, si potrebbe supporre che in questo caso, considerando le caratteristiche del quesito, all’elettore siano state fornite informazioni utili a farsi un’idea corretta del problema posto dal referendum e che abbia dunque effettuato una scelta su dati corretti e anche metodologicamente ben determinati.

Si vuole, allora, qui analizzare la qualità dell’informazione fornita dai mass-media: in particolare si vuole analizzare, più che le tesi sostenute, la qualità tecnica delle argomentazioni a loro favore, tenendo conto che si tratta di temi da un lato sofisticati dal punto tecnico e dall’altro che mettono in gioco interessi di grande rilievo.

La mole di documentazione sui problemi energetici è oggi enorme: la rete ha reso disponibile una gran quantità di dati e di rapporti, ma non si può pensare che il cittadino medio si sia informato su questi materiali. Le sue fonti sono essenzialmente la stampa quotidiana e le televisioni.

In ogni caso è bene dire subito che, almeno in questo caso, la scelta fatta dagli elettori è stata coerente con i recenti sviluppi a livello mondiale delle prospettive delle sorgenti energetiche e, applicando questo non banale criterio, può essere considerata “corretta”.

Gli indizi sono diversi e di diverso peso, ma indicano concordemente che la tecnologia nucleare per la produzione di energia ha subito una sospensione pressoché definitiva, almeno se misurata sui tempi di una generazione. La Germania ha chiuso immediatamente 8 delle sue 17 centrali, 6 le chiuderà entro il 2021 e le ultime 3 entro il 2022; i tedeschi pensano di essere in grado di sostituire questa produzione di energia con il risparmio e con le fonti energetiche rinnovabili. La Svizzera chiuderà le sue centrali entro il 2034 e anche l’Austria e il Belgio stanno ridiscutendo il loro programma nucleare. Alcune delle stesse industrie costruttrici di reattori hanno preso atto delle non rosee prospettive dell’industria nucleare e hanno deciso in conseguenza: la Siemens ha stabilito di chiudere la sua divisione nucleare. La Francia, che è sempre stata sostenitrice dell’opzione nucleare, si trova oggi con 8 reattori che non hanno superato i test basati sui nuovi criteri antisismici introdotti dopo l’incidente di Fukushima e richiedono, quindi, lavori di adeguamento alle nuove norme imposte dall’UE. Inoltre il Partito socialista, che ha vinto le elezioni, propone che il contributo dell’energia nucleare passi dall’attuale 75% al 50% entro il 2025. Per evitare perdita di posti di lavoro in un settore ad alto contenuto tecnologico, saranno mantenuti e anzi rafforzati gli impianti di trattamento del combustibile. Si tratta di una buona idea tenendo conto che il numero di centrali in smantellamento crescerà nei prossimi anni (Le Monde, 17.11.2011). Molti programmi di costruzione stanno subendo ritardi o sospensioni, giustificati dall’attesa delle nuove norme internazionali di sicurezza introdotte in conseguenza dell’incidente di Fukushima. Recentemente il governo giapponese ha dichiarato che nel giro di qualche decennio spegnerà le sue centrali nucleari e questo è un altro fatto rilevante, perché si tratta di un paese ad alto sviluppo industriale. Anche la Cina ha posto in evidenza i problemi di sicurezza dei suoi reattori e ha ridotto il numero di centrali di cui prevedeva la costruzione (The Wall Street Journal, 16.10.2012).

L’incidente di Fukushima ha accelerato la ridiscussione del ruolo delle centrali nucleari che era già in corso: l’età media delle centrali è ormai relativamente elevata; si è aperto il capitolo, molto delicato dal punto di vista tecnico, oltre che da quello economico, dello smantellamento delle centrali nucleari che hanno concluso il loro ciclo utile. Vi sono attualmente nel mondo 120 centrali nucleari chiuse, alcune delle quali, come le 4 italiane, da molti anni. Esse richiederanno, una volta individuata la tecnica più opportuna, un costo elevato per il loro smantellamento: gli impianti nucleari sono i soli impianti industriali per i quali il costo dello smantellamento è confrontabile con quello della costruzione. Per la sola Gran Bretagna la spesa di smantellamento di 39 reattori e di 5 impianti di riprocessamento, riferita al 2005, è stimata in 81 miliardi di € (Il Sole-24 Ore, 31.1.2011).

3. Il dibattito sul referendum, e quindi l’interesse della stampa, ha ruotato intorno a due temi principali: la necessità delle centrali nucleari e la loro sicurezza.

Il tema della necessità presenta vari aspetti tra loro collegati, ma che possono essere trattati autonomamente l’uno dall’altro. Alcuni sostengono che la disponibilità di combustibili fossili è legata a contingenze di politica internazionale tali da renderla aleatoria. Ma se anche questa disponibilità fosse garantita, una produzione energetica basata solo sui combustibili fossili avrebbe un intollerabile impatto ambientale. D’altro canto le fonti rinnovabili non sarebbero in grado di soddisfare le necessità energetiche del pianeta. E anche avendo superato queste difficoltà, il costo del kilowattora prodotto per via nucleare sarebbe inferiore a quello prodotto con i combustibili fossili o con le energie rinnovabili.

Queste affermazioni sono al momento indimostrate e probabilmente indimostrabili. I paesi produttori hanno nella vendita dei loro combustibili fossili una fonte di entrate praticamente irrinunciabile, e se anche uno di essi dovesse cessare la fornitura per gravi motivi, altri potrebbero sostituirlo; il recente esempio della Libia è a questo proposito istruttivo. L’impossibilità di aumentare il contributo delle fonti rinnovabili per soddisfare i bisogni energetici è discutibile: le tecnologie di sfruttamento di queste forme di energia, dal solare all’eolico, sono molto progredite negli ultimi anni e questa tendenza non ha ragione di interrompersi. Va inoltre ricordato che il risparmio energetico ha ampi margini ancora inutilizzati.

Per avere un’idea degli ordini di grandezza dei risparmi possibili si può osservare che ci sono in Italia circa 25 milioni di abitazioni nelle quali sono installate almeno 100 milioni di lampadine. Sostituendo ciascuna lampadina a incandescenza con una a risparmio energetico si può pensare di risparmiare circa 30 watt: la potenza così risparmiata è di circa 3.000 MW, che corrisponde alla potenza di due reattori nucleari. Questo risparmio è ancora più rilevante se si considera l’intero pianeta: l’illuminazione impiega, a livello mondiale, il 17,5% di tutta la produzione di energia elettrica, una quantità che eguaglia l’energia prodotta da tutte le centrali nucleari nel mondo ed è in rapida crescita, essenzialmente nei paesi in via di sviluppo. Il nuovo piano energetico del governo Monti tiene conto di questo aspetto e dà grande rilievo all’efficienza energetica.

Il dibattito sul referendum ha visto le due parti dedicarsi in particolare ai due aspetti sopra ricordati: coloro che erano favorevoli all’utilizzo delle centrali nucleari hanno in qualche modo tentato di dimostrare che la fonte nucleare per produrre energia elettrica era necessaria, perché più economica e meno inquinante, meno soggetta ai rischi della geopolitica e non sostituibile con altre fonti. Questo – nelle loro argomentazioni – era sufficiente a controbilanciare i problemi di sicurezza connessi alle centrali nucleari.

D’altro lato, coloro che erano contrari hanno insistito sul problema della sicurezza, ma hanno anche sostenuto la non convenienza economica. La separazione tra queste due posizioni non è corretta: il costo del kilowattora dipende ovviamente dai livelli di sicurezza con i quali è costruito e gestito l’impianto. Questo è stato dimostrato nei due più gravi incidenti accaduti alle centrali nucleari: per quello di Fukushima l’impianto era stato progettato per terremoti di intensità inferiore a quella poi verificatosi; per quello di Chernobil le regole di gestione consentivano un funzionamento manuale che è stato la causa del disastro. Le centrali nucleari, come un qualsiasi impianto industriale, possono essere costruite con diversi gradi di sicurezza e il loro costo dipende dalle garanzie di sicurezza che si vogliono realizzare. In effetti l’Agenzia per le applicazioni dell’energia Nucleare (IAEA) ha iniziato una revisione di tutta la normativa relativa che influenzerà fortemente le previsioni del costo del kilowattora prodotto con l’energia nucleare.

È comprensibile che coloro che erano contrari alle centrali nucleari abbiano utilizzato l’emozione causata dall’incidente di Fukushima; ma il problema della sicurezza, affrontato isolatamente, non è corretto e non può essere decisivo. Il danno prodotto dagli incidenti nucleari è senza dubbio grave, ma a renderlo così impressionante sono le sue caratteristiche qualitative più che quantitative: nei cinquanta anni di utilizzo delle centrali nucleari il numero di morti attribuibili direttamente o indirettamente alle centrali nucleari è al massimo di qualche migliaio. Per avere un termine di paragone, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ogni anno muoiono nel mondo circa 2.000.000 di lavoratori per malattie professionali o per infortuni; o, ancora, secondo le Nazioni Unite ogni anno muoiono per incidenti stradali 1.300.000 di persone.

4. La moralità dei tecnici nella veste di informatori, intesa come accuratezza e corretta applicazione dei dati forniti, non è stata mediamente elevata.

Valga, per esempio, la pubblicità proposta dal Forum Nucleare Italiano trasmessa sulle reti Rai e Mediaset, che è stata stimata ingannevole e quindi proibita dal Giurì della Pubblicità. La tecnica utilizzata nello spot televisivo era la stessa utilizzata per vendere una bibita o un pannolino. Secondo il Giurì «il ricorso ad alcuni elementi suggestivi confermerebbe la decettività del messaggio: la scelta del colore bianco per le ragioni del “sì” e del nero per quelle del “no”; la voce fuori campo dal tono più rasserenante quando esponeva le ragioni del “sì”; le obiezioni svolte apparirebbero generiche, le preoccupazioni irrazionali quando si tratta del fronte del “no”, mentre risulterebbero, anche per il tono, circostanziate e affidabili quando riferiscono le ragioni del “sì”». Tutta l’impostazione del messaggio era idonea, a detta del Giurì, a indurre nel pubblico mediamente informato e vigile l’idea che il messaggio provenisse da un soggetto imparziale, costituito soltanto allo scopo di arricchire l’informazione su un tema di cruciale importanza, e non da un’associazione di tendenza. Quindi, sulla base dell’art. 2 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, che proibisce la comunicazione commerciale ingannevole, è stata imposta la cessazione di questa trasmissione pubblicitaria.

Non sono mancate, peraltro, prese di posizione meno banalmente propagandistiche, ma che non possono essere considerate tali da aver fornito un criterio decisivo di scelta. La difficoltà sta nelle incertezze dei diversi parametri economici necessari per quantificare il costo dell’energia prodotta dalle diverse fonti energetiche.

Sembra che queste incertezze siano emerse per la prima volta nel 2010, se si deve credere a quanto scritto nella presentazione dell’ultimo rapporto OCSE 1: «per la prima volta, il rapporto contiene un’estesa analisi dell’impatto della variazione di parametri fondamentali quali il tasso di sconto, il prezzo del combustibile ed i costi del carbone sul costo medio del kWh». In conclusione, si nota che «lo studio mostra come la competitività nei costi delle tecnologie di produzione di elettricità dipendono da vari fattori che possono variare nazionalmente e regionalmente». La recente crisi economica ha mostrato come attualmente le previsioni estese su periodi di tempo relativamente lunghi sono poco affidabili. Da molti anni, ad esempio, il costo dei combustibili fossili oscilla in modo rilevante e poco prevedibile. Al di là quindi della buona fede degli autori, il problema della convenienza economica dell’energia prodotta con le centrali nucleari, che va calcolata tenendo conto dei tempi necessari alla loro entrata in funzione (tempi che possono essere superiori ai 10 anni)2, è risolvibile solo con un notevole grado di incertezza: nei tempi attuali pochi si sentono in grado di prevedere l’andamento dei vari parametri economici su di un arco cronologico così lungo.

La tecnica con la quale si costruisce un ponte o un calcolatore ne impone un funzionamento deterministico che permette di prevedere il suo comportamento per un tempo teoricamente illimitato; la stessa tecnica ha individuato anche quali segni sono indicatori che questo comportamento, per varie ragioni, non è più deterministico ed anche le modalità con le quali esso può essere ripristinato. Non esistono al momento tecniche che permettano di operare analogamente nel campo delle scienze economiche. Di fronte a previsioni che sono intrinsecamente incerte – se non lo sono c’è da dubitare della correttezza di chi le ha fatte – la politica deve assumersi in pieno le sue responsabilità. Esisteranno sempre più soluzioni e devono essere i cittadini, che di queste decisioni potranno godere i frutti o subire i danni, a decidere.

Appartiene alla serie di articoli più sottilmente propagandistici quello apparso su Il Sole-24 Ore del 9 febbraio 2011 a firma di Giuseppe Zollino e Pietro Maria Putti intitolato È l’atomo la scelta «low cost» per il paese. Questo articolo conteneva la tabella riproposta qui di seguito, nella quale sono riportati il costo previsto in dollari per megawatt all’ora, secondo diversi rapporti, dell’energia prodotta da fonti diverse che entrino in funzione entro il 20203.

 

IMPIANTI

Ocse 2010

Cbo 2008

Ce 2008

Epri 2008

Camera dei Lord 2008

MIT 2009

Nucleare

42-71

57

50-85

57

60

62

Carbone

56-68

70

63-73

77

76

70

Ciclo a gas

61-67

71

69-67

77

77

73

L’esame anche superficiale della tabella mostra elementi singolari. Per alcuni istituti si riporta questo costo senza nessuna incertezza, mentre per due si indica una forbice dei valori possibili del costo. L’energia prodotta per via nucleare risulta essere più economica solo per gli istituti che danno un solo valore, mentre per quelli che danno una forbice dei possibili valori non è possibile trarre alcuna conclusione. In realtà i rapporti originali danno dei valori mediani, che sono quelli riportati dagli autori dell’articolo, e anche delle incertezze, che invece sono state riportate solo per due casi. In conclusione: «nessuna tecnologia ha un vantaggio netto complessivo sia a livello globale che regionale»4

5. In conclusione, tutte le argomentazioni a favore o contro la costruzione delle centrali nucleari erano in realtà affette da parzialità o scarsa affidabilità.

Ciò non è stato causato, con l’esclusione di alcuni casi particolari, da malafede, ma semplicemente dal fatto che la convenienza di una scelta o dell’altra era accertabile solo con un margine di incertezza. Tale incertezza non era dovuta alla dinamica del progresso tecnologico, i cui tempi di sviluppo sono in generale prevedibili, ma all’incertezza che oggi caratterizza le previsioni dello sviluppo economico: l’elettore ha rifiutato una scelta che implicava progetti supposti pericolosi e il cui sviluppo prevedeva tempi di realizzazione molto lunghi, con impegni finanziari imponenti.

I dati a disposizione dell’elettore non erano particolarmente corretti in quanto in generale nascondevano le difficoltà e i rischi delle due scelte possibili. In ogni caso una decisione è stata presa; io credo quella corretta. La modalità con cui si è deciso permetterà di operare scelte che potranno essere condivise dai cittadini che hanno contribuito a prenderle.

Note

1. OCSE, Nuclear Energy Agency, Projected Costs of Generating Electricity 2010.

2. Per quanto riguarda il reattore finlandese in costruzione a Olkiluoto, che è dello stesso tipo che si era proposto di costruire in Italia, il bando per la costruzione fu emesso nel 2000 e l’entrata in funzione dovrebbe aversi nel 2013.

3. Il Cbo è il Congressional Budget Office degli Usa; l’Epri (Electri Power Research Institute) è un istituto privato; la Ce è la Comunità Europea.

4. N. Tanaka, L. Echavávarry, Projected Costs of Genereting Electricity, International Energy Agency, Nuclear Energy Agency, 2010.